Legge 194: è ora di cambiarla per dare maggiore autodeterminazione alle donne

Il 17 maggio 1981 vennero respinti i referendum che volevano abrogare la 194, la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Una legge che ha rappresentato una conquista enorme per le donne, ma che contiene ancora forti limitazioni alla loro autodeterminazione. È ora di cambiarla, in meglio.

Quarant’anni fa si tenevano i referendum sulla legge 194; con quel voto, la stragrande maggioranza degli italiani decise di mantenere in vigore la legge, così com’era stata approvata dal parlamento il 22 maggio del 1978. Da allora fu chiaro che l’attacco a una conquista faticosamente raggiunta si sarebbe concretizzato sfruttando gli elementi di compromesso della legge, e contrastandone l’applicazione, a cominciare dal ricorso strumentale all’obiezione di coscienza, che ben presto raggiunse in Italia percentuali disastrosamente alte, non solo tra i ginecologi, ma anche tra gli anestesisti e il personale non medico. 

Lo scontro sull’obiezione di coscienza ha finito per congelare il dibattito sull’aborto a 40 anni fa; da allora, nella narrazione dell’aborto, non si può fare a meno della retorica sugli aborti clandestini, né del piagnisteo sull’aborto che per le donne è sempre un dramma, né della enfatizzazione delle conseguenze positive della legge, che avrebbe ridotto drasticamente i tassi di abortività nel nostro paese, come se, qualora questo non fosse successo, la legge avrebbe avuto meno “buone ragioni” di esistere. Da allora, ci sentiamo dire che la legge 194 garantisce l’autodeterminazione e difende la libertà delle donne. Da allora, ci sentiamo dire che la 194 è una buona legge e che qualunque tentativo di cambiarla porterebbe con sé il rischio di una modifica peggiorativa.  

In questa narrazione retorica, i concetti di “libertà”, “scelta”, …

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.