Prendersi cura: il lavoro indispensabile

Non solo il lavoro di cura tradizionalmente inteso, ma il prendersi cura dei lavoratori, così come dell’ambiente e delle relazioni sociali, è sempre più indispensabile per la sopravvivenza.

La pandemia ha messo a fuoco, enfatizzandone la necessità e, per alcuni, acuendone le difficoltà di conciliazione con la prestazione lavorativa remunerata, il lavoro di cura che viene svolto quotidianamente in famiglia, nei confronti dei più piccoli o più fragili, ma anche verso adulti autosufficienti, come atto più o meno (spesso meno) di sostegno e attenzione reciproca. Un lavoro che è svolto in larga misura dalle donne in famiglia, come madri e mogli e, quando si tratta di bisogni di persone anziane fragili, anche figlie. Ma questo processo di messa a fuoco ed accentuazione non è avvenuto nello stesso modo per tutti, a parità di condizioni familiari. Non è avvenuto nello stesso modo e con la stessa intensità per gli uomini e le donne, non è avvenuto nello stesso modo per chi ha potuto lavorare a distanza e chi, se non ha perso il lavoro, ha dovuto lavorare in presenza.

La pandemia – e in particolare la fase del lockdown – ha, infatti, introdotto un nuovo tipo di disuguaglianza, ampiamente sottovalutata: quella tra le occupazioni che possono essere svolte a distanza, seppur con tutta la fatica del caso, e le occupazioni che possono essere svolte solo in presenza; categoria all’interno della quale si distinguono le professioni che – proprio per questa loro caratteristica – sono state soggette a chiusura (pensiamo ai settori della ristorazione, del turismo…) e quelle che sono rimaste in attività, con tutti i conseguenti pericoli rispetto al contagio. Mi ha colpito che, tra i lavoratori giustamente salutati come eroi (in particolare gli addetti alle professioni sanitarie) non ci si sia mai ricordati delle commesse dei supermercati o dei lavoratori della logistica o dei trasporti che hanno continuato a prestare servizio, in alcuni casi anche con una intensificazione dei carichi di lavoro, perché era più richiesto da noi consumatori, in mancanza di alternative.

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Eugène Ionesco e la nostra buffa esistenza

Il 28 marzo 1994 moriva il grande drammaturgo rumeno Eugène Ionesco. Ricordarne la figura e il teatro significa riscoprire il fascino per la sua oscurità buffa, che ci mette di fronte alle nostre esistenze, strabilianti e atroci al tempo stesso, ridicole e tragiche, in cui non c’è la luce di un Dio infinito ad illuminare la via, non c’è speranza o fede ma solo la ricerca del senso in questo costante non senso.

Il Brasile di Lula a sessant’anni dal golpe militare

Nel sessantesimo anniversario del golpe militare in Brasile che inaugurò una lunga dittatura, hanno suscitato indignazione e polemiche le parole dell’attuale Presidente Lula che ha dichiarato di non voler “rivangare il passato”. Una posizione respinta con sdegno dai parenti delle vittime della dittatura: “ripudiare con veemenza il golpe del 1964 è un modo per riaffermare l’impegno a punire i colpi di Stato anche del presente e scongiurare eventuali tentativi futuri”.