Le parole sono importanti per cambiare il mondo

La lotta politica si svolge anche sul terreno dei significati delle parole. Se uso ‘fragilità’ al posto di ‘oppressione’, ad esempio, faccio sparire gli oppressori. Poiché il lessico che utilizziamo indica e consolida una visione del mondo, contro il neoliberismo dominante è indispensabile condurre una battaglia culturale con un linguaggio autonomo e unificante.

Le parole cambiano. Il nostro lessico, cioè l’insieme degli elementi che formano un sistema linguistico, cambia nel corso del tempo: alcuni termini (singole parole e locuzioni) cadono in disuso, altri nascono e si diffondono più o meno rapidamente, diversi ambiti sviluppano uno specifico gergo settoriale, cambiano i significanti e i significati.

Lo stesso termine può subire uno slittamento semantico, una deformazione del suo significato; può essere influenzato dalle mode, dall’egemonia di una lingua (oggi l’inglese), dall’ideologia dominante, che è tale proprio perché riesce a imporre i termini e i significati che consolidano e rendono coerente la sua visione del mondo, e disgregano quelle altrui.

Il neoliberismo è diventato egemone anche attraverso il pensiero debole e postmoderno: nella società liquida alcuni significati sono annegati, le parole “pesanti” sono affondate, galleggiano quelle non problematiche, quelle anche “radicali” purché prive di conseguenze. L’ideologia dominante si riflette nei media, che “impongono” alcuni termini e ne stigmatizzano altri (che diventano vetero, residuati novecenteschi, che creano imbarazzo nell’usarli).

Dunque, le parole sono importanti. Se uso il termine oppressione dico anche che c’è una relazione tra un oppresso e un oppressore; se invece uso il termine fragilità indico una condizione, non una relazione che mi permetta di capire immediatamente l’origine della fragilità e gli attori coinvolti.

I termini hanno un campo semantico (un’area di significato) dai confini spesso sfumati, con significati interpretati anche soggettivamente, ma che comunque hanno una base nei rapporti sociali, nelle relazioni intersoggettive. Quindi le parole sono importanti perché indicano una visione del mondo e consolidano una visione del mondo, sono nello stesso tempo strutturate (effetto delle pratiche) e strutturanti (produttrici di pratiche).

L’uso di termini quali oppresso, sfruttato, vessato, indica che ci sono oppressori, sfruttatori, aggressori; significati immediatamente contigui a…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.