Le parole cambiano. Il nostro lessico, cioè l’insieme degli elementi che formano un sistema linguistico, cambia nel corso del tempo: alcuni termini (singole parole e locuzioni) cadono in disuso, altri nascono e si diffondono più o meno rapidamente, diversi ambiti sviluppano uno specifico gergo settoriale, cambiano i significanti e i significati.
Lo stesso termine può subire uno slittamento semantico, una deformazione del suo significato; può essere influenzato dalle mode, dall’egemonia di una lingua (oggi l’inglese), dall’ideologia dominante, che è tale proprio perché riesce a imporre i termini e i significati che consolidano e rendono coerente la sua visione del mondo, e disgregano quelle altrui.
Il neoliberismo è diventato egemone anche attraverso il pensiero debole e postmoderno: nella società liquida alcuni significati sono annegati, le parole “pesanti” sono affondate, galleggiano quelle non problematiche, quelle anche “radicali” purché prive di conseguenze. L’ideologia dominante si riflette nei media, che “impongono” alcuni termini e ne stigmatizzano altri (che diventano vetero, residuati novecenteschi, che creano imbarazzo nell’usarli).
Dunque, le parole sono importanti. Se uso il termine oppressione dico anche che c’è una relazione tra un oppresso e un oppressore; se invece uso il termine fragilità indico una condizione, non una relazione che mi permetta di capire immediatamente l’origine della fragilità e gli attori coinvolti.
I termini hanno un campo semantico (un’area di significato) dai confini spesso sfumati, con significati interpretati anche soggettivamente, ma che comunque hanno una base nei rapporti sociali, nelle relazioni intersoggettive. Quindi le parole sono importanti perché indicano una visione del mondo e consolidano una visione del mondo, sono nello stesso tempo strutturate (effetto delle pratiche) e strutturanti (produttrici di pratiche).
L’uso di termini quali oppresso, sfruttato, vessato, indica che ci sono oppressori, sfruttatori, aggressori; significati immediatamente contigui a…