Gli oppressi, nel mondo, non sono tutti silenti. E i giovani non sono tutti addomesticati. Senza partiti e sindacati, che hanno smarrito il loro ruolo, gli oppressi, giovani e non solo, si indignano e lottano in tutto il mondo. In Africa – Tunisia, Algeria, Burkina Faso, Senegal, Sudan… – come nell’America del Black Lives Matter. In Asia – Nepal, Indonesia, Bangladesh, Filippine… – come in America Latina – Cile, Perù, Colombia… – e nell’Europa di Fridays for Future. È la “globalizzazione dell’umanità” e forse di un “sentimento” dell’umanità. Un “sentimento” che coglie, magari ancora confusamente, il rapporto tra sofferenze umane e sofferenze della Natura e aspira alla “dignità” della propria vita e della vita della Natura. Vent’anni fa ero a Porto Alegre, entusiasta di quel movimento: ma la consapevolezza di questo rapporto e l’interconnessione tra i ribelli di tutto il mondo sono più forti oggi che allora.
Nella tundra con i Sami
Ho conosciuto i Sami nel 2007, durante un viaggio in Norvegia, e da allora non ho mai smesso di interessarmi alla loro storia. I Sami sono l’unico popolo indigeno ufficialmente riconosciuto nell’Unione europea. La loro cultura è la più antica del Nord Europa, dove vivono da oltre 5 mila anni. Ad oggi ne sono rimasti solamente circa 75/80 mila, suddivisi in una regione che copre quattro Paesi: dalla Penisola di Kola (Russia) fino alla Norvegia centrale e settentrionale, e alle regioni più settentrionali della Finlandia e della Svezia. Questa regione è conosciuta come Sápmi, la Lapponia. Il Paese con la maggiore concentrazione di Sami è la Norvegia, che ne ospita oltre 40 mila. Io li ho conosciuti nella Norvegia settentrionale, il Finmark, la regione che si estende oltre il Circolo Polare Artico, dove regna la tundra: qui&…