Attorno al trentennale del tentato colpo di stato che sancì la fine dell’Unione Sovietica nel 1991 non vi è grande attenzione, nella Russia di oggi. Dei protagonisti di quei giorni, nessuno, tranne Gorbaciov, è restato in vita: gli otto membri del Comitato statale per lo stato di emergenza (la denominazione assunta dall’organismo direttivo dei golpisti) sono scomparsi, il loro antagonista Eltsin anche, e gli avvenimenti del 18-21 agosto a Mosca sembrano lontani nel tempo e nello spazio. Eppure, da quel tentativo tragicomico di fermare il processo di sgretolamento dell’Urss ne è nata una ulteriore accelerazione, e i carri armati nelle strade della capitale sovietica hanno rappresentato la fine, alquanto ingloriosa, della perestrojka e la nascita di fatto della Russia di oggi. Il destino di Gorbaciov, isolato nella dacia di Foros, in Crimea, e poi estromesso di fatto dagli eventi successivi al golpe, in un certo senso è l’immagine di quella fine di un cambiamento spesso invocato, ma confusamente praticato senza seguire alcuna traccia, recitato attorno a un canovaccio che vedeva l’ultimo segretario del PCUS al centro dei riflettori.
Vi è l’abitudine di vedere i giorni del golpe come il momento decisivo per la fine dell’Unione Sovietica. In realtà, l’implosione del sistema partiva da lontano, e le onde scatenate da esso si riverbereranno a lungo in Russia e nello spazio post-sovietico. Un errore di prospettiva dovuto alla lettura degli avvenimenti prestando attenzione esclusivamente al centro, e sottovalutando la complessa dialettica tra centro e periferie, tra le varie repubbliche facenti parte dell’Unione Sovietica e in che modo queste contraddizioni si fossero accumulate fino alla definitiva crisi.
Lo sgretolamento dell’Urss, tra perestrojka e questione nazionale
Alcune di queste contraddizioni ancora oggi continuano a esser parte del frastagliato scenario politico dello spazio post-sovietico. Nell’autunno del 2020 abbiamo assistito alla ripresa del conflitto tra armeni e azeri nel Nagorno-Karabakh, conclusosi con la vittoria di Baku, forte del sostegno di Erdogan e delle forniture militari israeliane. Un …