Meles Zenawi e la grande rinascita etiopica

Dopo Selassié e Menghistu, in questo terzo articolo dedicato ai protagonisti della storia d’Etiopia raccontiamo Meles Zenawi, primo premier democratico del Paese, al potere dal 1995 al 2012.

In questo poster dei primi anni del Duemila, la foto in bianco e nero del giovane rivoluzionario Meles Zenawi in sahariana, è affiancata a quella del Meles della maturità con gli occhiali, la cravatta e la giacca. In alto a sinistra il logo del suo primo partito, il marxista-leninista TPLF, il Tygrayan People’s Liberation Front con il martello incrociato al fucile e sullo sfondo una stele di Axum – città storica del Tigrai da cui discenderebbe la stirpe etiopica dall’unione tra Re Salomone e la Regina di Saba – su cui domina la stella comunista.

Meles Zenawi era nato nel 1955 ad Adua, dove nel 1896 gli uomini di Menelik sconfissero le truppe italiane del generale Baratieri. Nei primi anni ‘80, Meles aveva scalato i vertici del movimento clandestino d’ispirazione marxista-leninista per la liberazione del Tigrai dall’oppressione del regime comunista del colonnello Menghistu Hailé Mariàm allora alleato dell’Unione Sovietica. In quel periodo l’Etiopia era tornata al centro della scena mondiale per il Live Aid di Bob Geldof.

Per Meles, attento studioso di Marx e Gramsci, il marxismo-leninismo era un modo per interpretare l’economia. Fu durante la resistenza che elaborò l’idea che, senza energia, lo sviluppo è impossibile e infatti, nei suoi discorsi, Lenin era sempre presente[1].

La liberazione dell’Etiopia dalla dittatura avviene nella primavera del 1991, con la complicità degli USA che aiutano Menghistu a fuggire perché, dopo il crollo del muro di Berlino, era uscito dall’orbita sovietica. Meles ha 36 anni, è un politico a tempo pieno ed è reduce da una serie di viaggi negli Stati Uniti e in Inghilterra dove ha trattato con le potenze occidentali il dopo-regime perché ora lui è il segretario del partito uscito dalla clandestinità.

Da presidente del governo di transizione, Zenawi disegna l’architettura della nuova costituzione federalista, ispirata al modello georgiano che Stalin impose all’Unione Sovietica dopo la rivoluzione[2], basata sul lavoro dell’Istituto p…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.