1. Crisi politica e crisi culturale
La crisi di lunga durata delle sinistre europee è da tempo palese nella loro subalternità all’agenda neoliberale e nella crescente incapacità di essere autonome sul piano programmatico e di articolare un paradigma alternativo. È una crisi che è scaturita dalla gigantesca sconfitta delle classi subalterne avvenuta nell’ambito del conflitto politico-sociale internazionale almeno dalla fine degli anni Settanta del Novecento e i percorsi che l’hanno preparata sono stati molteplici. L’impreparazione a comprendere adeguatamente la modernizzazione capitalistica, nel momento in cui il ciclo delle grandi lotte e avanzate del dopoguerra si è invertito, e a risponderle tramite analisi del conflitto ed esperimenti organizzativi che fossero alla sua altezza, certo; i profondi mutamenti nella composizione sociale delle classi lavoratrici, paradossalmente sconvolta dal successo del compromesso fordista-keynesiano e dalla produzione di una nuova antropologia consumeristica e desiderante favorita dal benessere diffuso; il crollo non meno determinante del deterrente socialista ad Est, con il venir meno di ogni alternativa strategica di sistema che fosse in grado di condizionare il dominio capitalistico costringendolo ad ammorbidirsi attraverso il Welfare; l’indebolimento dell’orizzonte nazional-statale nella globalizzazione e nei processi di convergenza regionali (Unione Europea); l’avvio di un processo di ricolonizzazione del mondo che in Occidente attenuava i vincoli di solidarietà internazionalistica e rilegittimava la barbarie della guerra e il sentimento di superiorità etnica e di civiltà.
Si tratta di una tendenza globale e generale che ha investito sia le socialdemocrazie che i partiti eredi del movimento comunista e che non ha risparmiato nessun paese, ma che ha dato luogo a una fenomenologia differenziata nei diversi contesti regionali e nazionali. E in questo senso va notato come, su un piano strettamente politico, questa crisi si sia manifestata in Italia in ritardo ma in forme più macroscopiche rispetto ad altre realtà europee. Per diverso tempo, infatti, la sinistra italiana è sopravvissuta a se stessa e ha vissuto come in una sorta di persistenza postuma: talmente forte era stato il radicamento sociale del PCI nei “Trenta gloriosi”, talmente strutturato era stato sul piano organizzativo e talmente ampia era stata la sua influenza – sebbene a mio avviso non si possa in alcun modo parlare di un’“egemonia” comunista, come spesso le destre tuttora lamentano –, che dopo la caduta del Muro di Berlino le organizzazioni che nel nostro paese erano nate dal suo scioglimento hanno continuato a vive…