La dimensione anti-illuministica della sinistra identitaria. Una critica in dieci tesi

Nel difendere le minoranze e i loro diritti, la sinistra identitaria si fonda su una dimensione anti-illuministica e una concezione relativista dei diritti umani analoghe a quelle della destra identitaria.

C’è una parte della sinistra, che potremmo definire “sinistra identitaria”, che nel difendere le minoranze e i loro diritti – posizione naturalmente nobilissima – lo fa da posizioni che hanno implicazioni problematiche. In particolare, a meritare il nostro sguardo critico sono la dimensione anti-illuministica e il relativismo dei diritti umani che un approccio identitario porta con sé. Al fine di prevenire possibili fraintendimenti, voglio chiarire che la critica che segue è rivolta non già all’impegno in difesa delle minoranze da parte di una tale sinistra, ma alle posizioni ideologiche e agli argomenti a sostegno di quell’impegno. Quella che segue è dunque una critica ideologica, che si fonda sull’assunto dell’universalità dei diritti umani.

Prima di entrare nel merito dell’argomentazione, è necessario dare una definizione di “sinistra identitaria”, trattandosi di una espressione che non si riferisce a un attore politico concreto, strutturato e con un preciso programma. L’espressione indica piuttosto un approccio che la distingue da una sinistra che potremmo definire “sociale”. Il terreno comune di ogni sinistra dovrebbe consistere nell’attribuire un valore fondamentale alla lotta per l’uguaglianza. Mentre nel caso della sinistra “sociale”, che ha come obiettivo l’uguaglianza sociale per la società nel suo complesso, non ci sono dubbi che sia così, per la sinistra identitaria è legittimo chiedersi se l’uguaglianza sia davvero il suo valore costituivo.

Naturalmente la richiesta di giustizia sociale e quella di maggiori diritti delle minoranze non si contraddicono, anzi, dovrebbero considerarsi in piena armonia e rafforzarsi a vicenda. Nella pratica, tuttavia, come vedremo, le cose non stanno sempre così. Ovviamente, in entrambi i casi si tratta comunque di costrutti teorici che servono a orientarsi.

Nel prosieguo di questo testo ci occuperemo solo della sinistra identitaria e delle sue posizioni. Poiché, come già detto, non si tratta di un’organizzazione precisa con un programma preciso, non è facile fare affermazioni generalizzabili circa le sue posizioni. Tuttavia, da quanto detto finora un aspetto dovrebbe essere già chiaro. A caratterizzare la sinistra identitaria non è l’impegno verso le minoranze e i loro diritti, ma il fondamento teorico su cui basa questo impegno, ossia il riferimento a formazioni collettive nelle quali l’agire individuale ha poca importanza, mentre quel che conta è l’appartenenza al gruppo, ciascuno con le rispettive norme. In altri termini, la sinistra identitaria è quella che, nel difendere le minoranze, postula che una presunta cultura maggioritaria sia sempre oggettivamente dominante e discriminante, mentre le culture minoritarie siano sempre sistematicamente discriminate e vadano difese in sé.

In questa cornice le azioni concrete dei singoli individui appartenenti alla cultura maggioritaria sono irrilevanti. Se la discriminazione contro i neri è causata dal predominio dei bianchi, è necessario sviluppare una coscienza del “privilegio bianco”, a prescindere dalle posizioni dei singoli. È in questa cornice che si parla di “appropriazione culturale”, quando i membri della cultura maggioritaria adottano alcune specificità di una cultura di minoranza. I dreadlocks, l’acconciatura tipica di alcune culture, per esempio, sono considerati “razzisti” se usati dai bianchi. E ancora, sempre nella prospettiva della sinistra identitaria, le caratteristiche di una cultura minoritaria non vanno mai messe in discussione, perché questo significherebbe assumere un punto di vista discriminatorio e superiore. Ecco perché, da questa prospettiva, qualunque critica al velo, per esempio, è considerata riprovevole.

A tali visioni e alle loro conseguenze intendiamo qui contrapporre osservazioni fondate s…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.