L’Etiopia sull’abisso della guerra civile

Il secondo stato più popoloso dell’Africa si trova oggi in una crisi che rischia di sfociare in una guerra civile che potrebbe compromettere la stabilità del già precario scacchiere geopolitico del Corno d’Africa.

Lo speciale sulle personalità politiche dell’Etiopia contemporanea

Mentre scrivo queste righe, in Etiopia è stato appena liberato il cooperante italiano del Vis Alberto Livoni, arrestato insieme ad altre diciassette persone tra operatori e sacerdoti salesiani, accusati di aiutare gli insorti tigrini che, secondo il governo del premier Abiy Ahmed, minano l’unità del paese. Questa è solo l’ultima di una serie di azioni clamorose del governo etiope. Pochi giorni fa, le forze di sicurezza avevano arrestato 72 camionisti che consegnavano aiuti per il Programma alimentare mondiale (WFP) in Tigray isolato da mesi. Due settimane fa le autorità etiopi hanno espulso sette alti funzionari delle Nazioni Unite, accusandoli di ingerenza negli affari interni del paese. E così via.

L’Etiopia è il secondo stato più popoloso dell’Africa dopo la Nigeria e si trova oggi in una crisi che rischia di sfociare in una guerra civile che potrebbe compromettere la stabilità del già precario Corno d’Africa. Il Primo Ministro Abiy Ahmed Ali, eletto appena cinque anni fa, aveva iniziato con slancio una difficile transizione politica nel 2018, impostando una serie di azioni politico-diplomatiche come l’avvio del processo di pace con l’Eritrea che gli è valso il Nobel per la Pace, e un numero impressionante di riforme tra cui quella delle forze armate, con la limitazione del ruolo dell’esercito nella politica e lo scioglimento delle milizie regionali, a provocare la reazione degli ufficiali tigrini che occupavano gran parte dell’alto comando militare.

La guerra tra il governo federale e quello del Tigray è scoppiata alla fine del 2020. Se in un primo momento la situazione sembrava volgere a favore di Abiy, l’alleanza tra il Fronte di Liberazione del Tigray (TPLF) e l’Oromo Liberation Army (OLA), ha rovesciato gli equilibri e oggi gli insorti sono alle porte di Addis Abeba. Per questa ragione, a fine ottobre 2021, Abiy Ahmed, ha dichiarato lo stato d’emergenza rivolgendo un drammatico appello alla nazione. “Usate qualsiasi tipo di arma per bloccare la spinta distruttiva e seppellirla: morire per l’Etiopia, è un dovere per tutti”. Facebook ha rimosso il post del primo ministro sostenendo che i contenuti violano le politiche della piattaforma contro l’incitamento e il sostegno alla violenza.

Per capire il presente è necessario conoscere il passato


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