Maria Grazia è ancora in viaggio verso Kabul

“L’Afghanistan la commuoveva, la rapiva con i suoi paesaggi, la sua gente e, soprattutto, con le sue immense ferite”. Alberto Negri ricorda l’amica e collega Maria Grazia Cutuli, inviata del “Corriere della Sera” uccisa il 19 novembre 2001.

Mi chiedete una testimonianza su quei giorni e un ricordo di Maria Grazia Cutuli, uccisa al passo di Sarubi in Afghanistan il 19 novembre 2001. Per me è quasi impossibile parlarne al passato perché la sua immagine, le sue parole, i discorsi che facevamo su ogni argomento, sono davanti a me, ogni giorno della mia vita. Viaggio ancora con lei, con la sua voce, le sue risate ironiche.

Per questo il ricordo non sfuma mai nella nebbia della memoria ma è sempre vivo, fa parte di me. L’unica differenza tra ieri e oggi è che, per caso, io sono rimasto materialmente vivo. Maria Grazia continua a vivere con me, ogni giorno.

Per i vostri lettori volete giustamente sapere come fosse Maria Grazia in quelle giornate del novembre 2001.

Potrei dire che era felice perché stava facendo la cosa che amava di più: il mestiere di giornalista, di inviato, in un Paese, l’Afghanistan, da cui era sempre stata affascinata, che la commuoveva, la rapiva con i suoi paesaggi, la sua gente e, soprattutto, con le sue immense ferite. Kabul sopra ogni cosa: questa città distrutta, crivellata dai proiettili, circondata dalle montagne, da un cielo di un blu sconvolgente, di una bellezza scavata dal dolore come il volto di un essere umano, esercitava su Maria Grazia un’attrazione magnetica. Kabul era una parte della sua autobiografia, la storia di una città diventava quella di un’anima.

Kabul era la sua città e non avrebbe mai potuto rinunciarci. Sarebbe stata lì anche questa ultima estate, quando gli americani si sono ritirati. Per questo Maria Grazia allora non si fermò a Jalalabad dove con Julio Fuentes e altri colleghi eravamo arrivati di notte, quando i mujaheddin la liberarono dai talebani.

Alloggiammo qualche giorno nell’unico albergo della…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.