Cisgiordania: i soldati israeliani raccontano la violenza dei coloni

L’ong israeliana Breaking the Silence ha diffuso un opuscolo che getta un fascio di luce sulla violenza perpetrata dai coloni in Cisgiordania allo scopo di espellere i palestinesi.

Nel 2010, un libro dal titolo Kibush HaShtachim intervenne a scuotere le coscienze degli israeliani in materia di occupazione della Palestina[1]. Offriva al pubblico le testimonianze di centinaia di soldati delle Israel Defence Forces (IDF) che smontavano la narrazione dominante nella società israeliana circa le azioni dell’esercito: le informazioni fornite erano infatti incompatibili con la convinzione diffusa che il controllo dei Territori occupati abbia l’esclusivo intento di proteggere Israele, dimostrando senza ombra di dubbio che le azioni israeliane non hanno un carattere esclusivamente difensivo bensì «hanno sistematicamente portato all’annessione di fatto di ampie porzioni della Cisgiordania, mediante l’appropriazione dei beni degli abitanti palestinesi, rafforzando il controllo sulla popolazione civile e instaurando un clima di paura»[2].

Il libro era curato dall’ong Breaking the Silence (BtS), nata nel 2004 con l’obiettivo di far conoscere la verità circa la presenza militare israeliana nei Territori occupati e che a questo scopo riunisce veterani ed ex combattenti dell’esercito che hanno prestato servizio nei Territori palestinesi dall’inizio della seconda Intifada a oggi.

Da allora gli attivisti di BtS hanno continuato a gettare un fascio di luce sull’operato dell’esercito affiancando questo lavoro al resoconto di un altro aspetto dell’occupazione: le quotidiane violenze ai danni dei palestinesi perpetrate dalle migliaia di coloni israeliani che hanno costruito propri insediamenti in Cisgiordania, in spregio al diritto internazionale che li considera illegali, nel tentativo di annettere quanto più territorio possibile attraverso l’intimidazione degli abitanti palestinesi.

Fa parte di questo lavoro l’opuscolo di recente pubblicazione dal titolo “On Duty. Settler Violence in the West Bank. Soldiers’ Testimonies 2012-2020” che presenta decine di testimonianze di soldati delle forze israeliane, che tratteggiano un quadro fatto di percosse, vessazioni, umiliazioni, in cui di fatto i soldati sono arruolati nell’interesse della promozione degli obiettivi ideologici e politici del movimento dei coloni.

Da alcune testimonianze emerge anche un altro aspetto problematico: la complessa relazione esistente tra coloni e soldati, basata sulla comune identità nazionale, sull’identificazione ideologica o religiosa e sugli stretti legami personali che si creano anche a causa del fatto che molte basi dell’esercito si trovano all’interno delle colonie o adiacenti a esse. I coloni fanno visita ai soldati ai loro posti di guardia, li ospitano nelle loro case, mangiano assieme, fanno loro dei doni: i vincoli che in questo modo si creano rendono difficile l’esecuzione da parte dei soldati del loro lavoro, soprattutto quando esso si scontra con gli obiettivi dei coloni (al punto che molte testimonianze raccontano di come spesso i soldati stessi siano bersaglio delle violenze dei coloni).

«Questi legami, diametralmente opposti alla relazione tra i soldati e la popolazione palestinese, consolidano ulteriormente il sistema di discriminazione che deriva dal fatto che i due gruppi, che abitano la stessa area, sono soggetti a due diversi ordinamenti giuridici: la popolazione israeliana alla legge civile mentre la popolazione palestinese a quella militare. Pertanto – si legge nell’introduzione all’opuscolo – sebbene il ruolo dell’esercito richieda di mantenere la sicurezza e l’incolumità di tutti gli abitanti dei Territori occupati […] quando cercano di far rispettare la legge, molti soldati sono incerti su se e come possono far valere la loro autorità sui coloni». «Questo fatto si traduce in una generale mancanza di applicazione della legge su un intero gruppo di popolazione, permettendo atti di violenza e, così facendo, rafforzando i responsabili. I coloni, che sanno bene come trarre vantaggio da questa situazione, usano spesso lo scudo di protezione fornito dall’esercito per promuovere i propri obiettivi, in prima linea rafforzando il loro controllo dell’area e spingendo i palestinesi fuori dalla loro terra».

«Il fenomeno della violenza dei coloni è una conseguenza inevitabile dell’occupazione israeliana e della politica di insediamento in Cisgiordania», concludono gli attivisti di BtS. «Se non fosse per il controllo continuo dell’esercito e la sua presenza nei Territori occupati, questa violenza non sarebbe possibile. Porre fine all’occupazione è l’unico modo per porre fine a questa violenza».

Di seguito, per gentile concessione di Breaking the Silence, proponiamo la traduzione di quattro testimonianze contenute in “On Duty”[3].

Alla fine chi vorrai proteggere?

Grado: Sergente | Unità: Nahal, 50° battaglione | Località: Hebron | Periodo: 2016

Idealmente, un soldato non dovrebbe avere una connessione emotiva né con i palestinesi né con gli ebrei che vivono lì [a Hebron]. Viene per svolgere un lavoro che ha davvero bisogno di distanza per poter essere fatto bene. In pratica, la sensazione è che vivremo con loro [i coloni di Hebron] per sei mesi. Capisci? Mangiamo alla loro tavola e facciamo Kabbalat Shabbat [una preghiera ebraica che si tiene il venerdì sera]. E perché accade questo? [Perché] alla fine chi vorrai proteggere? È l’arabo, che tu percepisci – [a causa della] demonizzazione – come la ragione del fatto che la tua vita è una merda, a dover essere protetto? È surreale ovviamente, perché la situazione [è] quella che è perché gli ebrei hanno deciso di vivere lì, per quello sei lì. Ma no. Questo arabo che cammina per la strada – devi stare in guardia a causa sua. Vorrai proteggere lui, in base ai tuoi princìpi, o la persona con cui hai cenato …

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