Da MicroMega 6/2012
Ho iniziato a lavorare per il cinema negli anni Sessanta. Ai tempi non amavo l’industria cinematografica e sognavo di scrivere musica «assoluta» senza vincoli di committenza, come i grandi del passato. Era un’idea ingenua, ma questo l’avrei capito molto più tardi.
In quel periodo intrapresi il lavoro compositivo per il cinema alla scuola di compositori del calibro di Enzo Masetti, Alessandro Cicognini e Franco D’Achiardi, uno sperimentalista visionario che non dava nulla per scontato e amava rischiare.
Un’altra fondamentale palestra fu la radio, dove mi cimentai con gli arrangiamenti di musica leggera: prima per Carlo Savina e poi per Canfora, Brigata, Barzizza, Angelini, Kramer, Luttazzi e altri eccellenti maestri che arrivavano da Milano e Torino. Consideravo quel mestiere con una certa spocchia e una buona dose di superiorità, ritenendolo eccessivamente al servizio della melodia cantata. E così provavo a riscattarlo, introducendo negli arrangiamenti qualcosa che li rendesse autonomi rispetto al tema melodico. Era importante che avessero senso in sé, anche al di là dell’esecuzione del cantante.
Dopo la radio e alcune incursioni nella televisione, venne il cinema, anche se non firmai subito le prime partiture. Cominciai componendo nell’anonimato. Oggi si direbbe che facevo il ghostwriter. Ho «vinto» il Nastro d’Argento per un’importante pellicola nei cui titoli non figura la mia firma.
All’inizio del 1961, quando mi trovai a lavorare su Il federale, il mio primo vero film, conoscevo già i trucchi della musica per il grande schermo. Conobbi Luciano Salce nel ’58, mentre arrangiavo per Le canzoni di tutti, una trasmissione televisiva che realizzava insieme a Ettore Scola. Benché mi apprezzasse come arrangiatore, Luciano aveva scelto di rischiare affidandomi la composizione delle musiche di Il lieto fine, una sua commedia musicale del ’59, che occhieggiava alla rivista, con Lauretta Masiero e Alberto Lionello. Il rapporto si consolidò ulteriormente quando mi cercò per la partitura di Le pillole di Ercole, uscito nel ’60. La proposta non si concretizzò per lo scetticismo di Dino De Laurentiis, ma ricordo che andai a scrivere per qualche tempo a Salsomaggiore, dove stavano girando.
Con Salce cominciai ad abituarmi alle reazioni del regista: colui che ha l’ultima parola su sceneggiatura, recitazione, fotografia, scenografia e costumi, ma che rimane interd…