L’Italia e l’appuntamento mancato con gli impegni per il clima

In materia di obiettivi di sostenibilità c’è da rimanere a bocca aperta per l’inidoneità del nostro Paese. Quel che manca non sono le conoscenze, le risorse economiche o le soluzioni da attuare: l’unica a mancare colpevolmente all’appello sembra la volontà politica.

Quello che volge alla conclusione è stato un anno centrale per la definizione delle strategie da attuare e degli obiettivi da raggiungere per far fronte alla crisi climatica. Nel 2021, infatti, si sono tenuti molti importanti vertici politici, diversi dei quali erano stati programmati per l’anno precedente ma erano poi stati cancellati a causa della pandemia, come la Cop15 della Conferenza sulla biodiversità (il cui documento finale verrà redatto nell’incontro fissato per maggio 2022) e la Cop26 sul Cambiamento climatico dell’Onu; si sono poi tenuti incontri multilaterali come il G7, ospitato dalla Gran Bretagna, il G20, la cui presidenza è stata assegnata per la prima volta all’Italia, e l’High Level Political Forum on Sustainable Development delle Nazioni Unite, che monitora l’avvicinamento dei Paesi agli obiettivi di sostenibilità.

Provando a tracciare un bilancio delle decisioni prese a livello internazionale, tuttavia, la situazione non è rosea. Il 2021 sarà ricordato, probabilmente, come un altro anno da record per quanto riguarda gli eventi estremi (incendi, ondate di calore, alluvioni, uragani…), così come per l’aumento delle temperature a livello globale. Il mondo fatica a riprendersi da una pandemia che ancora imperversa, e che ha brutalmente acuito le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza e nell’accesso ai diritti fondamentali. Gli sforzi di collaborazione e partenariato tra nazioni per lavorare a soluzioni comuni a simili problemi globali ristagnano: il Goal 17 dell’Agenda 2030, dedicato proprio al rafforzamento della collaborazione internazionale in vista della realizzazione degli obiettivi dell’Agenda, sembra un obiettivo sempre più lontano.

La Cop26, alla quale più parti guardavano con grande speranza – anche in seguito al fallimento della Cop25, tenutasi nel 2019 a Madrid, durante la quale non erano stati raggiunti accordi significativi – è stata una delusione per molti. Ancora una volta, gli avanzamenti in direzione di quel cambiamento trasformativo che è chiesto a gran voce da larga parte della comunità scientifica e della società civile sono stati troppo timidi, e sicuramente insufficienti rispetto all’urgenza di agire prima che la “finestra d’azione” si chiuda. Il decennio 2021-2030 è stato non a caso definito dalle Nazioni Unite “Decade of Action”, e accompagnato dallo slogan «Abbiamo dieci anni per trasformare il mondo». E questa volta non possiamo proprio sbagliare, perché con ogni probabilità non ci saranno altre opportunità di rimediare agli errori compiuti.

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La pandemia ha segnato un generale allontanamento, negli ultimi due anni, dagli obiettivi tracciati a Parigi cinque anni fa; d’altra parte, proprio questa crisi – di cui è stato ampiamente dimostrato il diretto legame con la crisi ambientale – va riconosciuta per quel che è: un potente monito, che deve ricordarci quanto sia essenziale assumere un impegno costante e deciso per affrontare la crisi climatica non solo attraverso la mitigazione e l’adattamento, ma anche cercando di correggere le numerose storture sociali ed economiche del sistema in cui viviamo.

Prima di tutto, dunque, bisogna puntare sugli interventi di mitigazione: ciò significa mettere in campo scelte politiche lungimiranti, strumenti tecnologici, capacità finanziarie che possano contribuire a minimizzare le conseguenze negative dei cambiamenti climatici sia nel breve sia nel lungo periodo, e in ogni parte del mondo. Gli effetti dei cambiamenti climatici, però, non sono ormai soltanto una prospettiva futura, ma una realtà con la quale fare…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.