Quale è lo stato di salute dell’Unione Europea? Meno peggio del previsto sul piano economico: dopo le prime ondate di pandemia, grazie a politiche fiscali e monetarie fortemente espansive inaugurate già nel 2020 dalla Commissione Europea e dalla Banca Centrale Europea, la ripresa sembra procedere meglio di quanto ci si aspettasse; tuttavia l’incertezza strategica della UE – relativa non solo alle dinamiche aleatorie della propagazione del Coronavirus e alla ripresa dell’inflazione ma soprattutto al suo futuro geopolitico, al futuro dell’euro, alle nuove regole in campo fiscale, alla instabilità dei mercati finanziari e al posizionamento internazionale dell’Europa – resta e anzi cresce. Consumata la Brexit, l’Europa e l’eurozona rimangono come prima e più di prima senza una direzione e una strategia definita, e i paesi dell’Unione, nonostante la ripresa economica, sono diventati politicamente sempre più disuniti. L’Europa appare sempre più fragile, impotente e irrilevante, stretta com’è nella morsa di due durissimi confronti; quello tra gli USA (diventati ormai un alleato ingombrante) e la Cina, e quello tra la Russia, l’Ucraina e la Nato, proprio nel cuore del vecchio continente. Non a caso l’Unione Europea è stata clamorosamente esclusa (insieme al governo ucraino) dai colloqui sul futuro della Ucraina che si terranno nei prossimi giorni in Svizzera tra gli USA, la NATO e la Russia. Josep Borrell, responsabile del settore esteri e sicurezza dell’UE, ha protestato e ha chiesto un invito al tavolo delle trattative affermando che la UE rifiuta un “nuovo accordo di Yalta” sull’Europa senza l’Europa. Ma finora non è arrivata una risposta positiva.
Anche gli accordi bilaterali stretti tra i paesi europei – come il Trattato di Aquisgrana del 2019 tra Germania e Francia, teso a fornire una direzione di marcia alla UE e di dare un peso anche militare all’Europa; come l’accordo stretto recentemente tra il presidente francese Emmanuel Macron e il premier italiano Mario Draghi; o come quello tra l’Ungheria di Viktor Orbán e la Polonia di Mateusz Morawiecki; o ancora come quello cosiddetto della Nuova Lega Anseatica (Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Finlandia, Lituania, Estonia, Lettonia e Irlanda) favorevole al rigore e all’austerità – confermano la balcanizzazione della UE e l’obsolescenza dei trattati multilaterali che dovrebbero legare insieme tutti i 27 stati dell’Unione Europea. Il fatto è che i trattati alla base della UE sono ormai completamente superati: sono diventati carta straccia, tutti da riscrivere. Da qui le iniziative bilaterali tra i singoli Paesi. Ogni governo si muove come può di fronte all’incerto futuro dell’Unione.
L’economia europea si sta riprendendo: dopo che, a causa dei lockdown dovuti alla pandemia, è precipitata del 5% nel 2020, alla fine dell’anno appena terminato è cresciuta del 5,5%; i dati per l’eurozona sono invece più negativi, rispettivamente del – 6,4% e + 5%. Le previsioni FMI indicano che quest’anno l’Europa dovrebbe crescere del 4,1% e l’eurozona del 4,3%. In conclusione già quest’anno tutti i paesi europei dovrebbero recuperare i livelli pre-Covid dell’economia. Consumi e investimenti sono in ripresa trainati dal forte aumento della spesa pubblica in deficit. Senza l’intervento pubblico l’economia privata sarebbe crollata. Il trend degli investimenti nell’area euro è però da tempo calante: la media nei 19 membri è passata dal 24% del Pil nel decennio 1999-2008 al 20% nel decennio 2010-2019. E il blocco dovuto alla pandemia rischia di ridurli ulteriormente. A ottobre 2021 il tasso di disoccupazione dell’area dell’euro era del 7,3%, in calo rispetto all’8,4% di ottobre 2020. Anche le o…