Il Cavaliere ineleggibile e il D’Alema smemorato

Esiste una legge che dichiara ineleggibile Silvio Berlusconi. È del 1957, quando il Cavaliere aveva i calzoni corti. D’Alema se ne accorge solo ora, dopo averla dichiarata inapplicabile nel 1994 e nel 1996. Meglio tardi che mai: ma sarà coerente o tornerà all’inciucio?

da MicroMega 5/2000

Alla festa dell’Unità di Bologna D’Alema ha dichiarato (la Repubblica, 15 settembre): «Berlusconi, concessionario dello Stato, era ed è ineleggibile per incompatibilità, la decisione della Giunta per le elezioni è stata una finzione». Successivamente, in un’intervista televisiva (la Repubblica, 28 ottobre) ha dichiarato: «Dopo le elezioni del 1994 (…) la Giunta per le elezioni della Camera, a maggioranza di centro-destra, deliberò che titolare delle concessioni delle aziende non era Berlusconi ma Confalonieri». «Ma come mai», domanda il giornalista, «all’epoca della Bicamerale di cui D’Alema era presidente, non si riuscì a risolvere la questione?». Risposta: «Abbiamo rispettato il voto di tanti milioni d’italiani, e poi Berlusconi ha promesso mille volte che avrebbe venduto le sue tv, ma non lo ha fatto».

Il D’Alema di oggi ha ragione contro il D’Alema di ieri.

Nel 1996 alcuni intellettuali – io ero fra questi, gli altri erano Borrello, Bozzi, Cimiotta, Flores d’Arcais, Galante Garrone, Laterza, Pizzorusso, Visalberghi – organizzarono un gruppo di pressione per far rispettare la legge 361 del 1957, che stabiliva l’ineleggibilità in parlamento dei titolari di concessioni pubbliche di rilevante interesse economico e ci attivammo per far presentare ricorsi a chi ne aveva diritto; chiedemmo anche consigli a Ettore Gallo, che era stato presidente della Corte costituzionale. Data l’importanza della questione ci documentammo con scrupolo: per questo siamo così bene a conoscenza delle vicende cui allude sommariamente D’Alema, il quale tuttavia parla solo della Giunta per le elezioni del 1994. Quella Giunta, è vero, era a maggioranza di centro-destra, ma i Ds votarono insieme col Polo: l’unico voto contrario lo dette Luigi Saraceni, che agì da cane sciolto e non fu riconfermato nella Giunta della successiva legislatura, quella del 1996; qui la maggioranza nella Giunta per le elezioni era di centro-sinistra, ma – è triste dirlo – i ricorsi furono respinti all’unanimità, nonostante gli appelli del nostro gruppo. Entrambe le volte i ricorsi furono rigettati con una «finzione», dice D’Alema, con un osceno cavillo, diciamo noi: ineleggibile non era Berlusconi ma – tenetevi la pancia dal ridere, ha scritto Sartori – Confalonieri.

Pertanto, le recenti dichiarazioni di D’Alema debbono essere interpretate come un riconoscimento che le precedenti prese di posizione – specialmente la seconda – furono due errori politici, da correggere dunque subito, malgrado le rilevanti difficoltà. La linea del gruppo dirigente dei Ds allora era di un appeasement con Berlusconi; per i Popolari c’era anche il motivo di aiutare Cecchi Gori, che, nel suo piccolo, si trovava nelle identiche condizioni di Berlusconi – aveva già una rete televisiva, poi ne ottenne un’altra – e intendeva essere eletto in parlamento. Quelli, come noi, che sostenevano che in un paese civile le leggi debbono essere rispettate da chiunque, amico o avversario, furono trattati come fastidiosi «moralisti», che non comprendono nulla di politica.

Le responsabilità dei Ds nella progressiva affermazione di Berlusconi, che nel 1995 era in condizioni politiche e finanziarie quanto mai precarie, sono gravi. Ancora nell’ottobre del 1999 il circolo Giustizia e libertà di R…

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