La politica delle atrocità

“Massacri”, “genocidio”, “torture”, “crimini contro l’umanità”: questi termini sono diventati talmente frequenti da non destare più alcuna reazione. Mai ci fermiamo però a considerare che fino alla fine dell’Ottocento queste categorie erano totalmente estranee al discorso politico.

Nel settembre 2020 Geoffrey Nice, già procuratore al processo del serbo Slobodan Milošević per crimini di guerra, ha annunciato la creazione del Tribunale Uyghur per «investigare sui presunti crimini contro l’umanità e genocidio contro uiguri, kazachi e altre popolazioni musulmane turkmene». Il 23 marzo dell’anno scorso 17 deputati hanno depositato al parlamento del Regno unito una mozione per condannare le «atrocità contro gli uiguri nello Xinjiang». Il 6 maggio la Commissione affari esteri della Camera dei rappresentanti Usa ha tenuto un’udienza sulle «atrocità contro uiguri e altre minoranze nello Xinjiang». Tra ottobre e dicembre le “atrocità”, il “genocidio”, i “crimini contro l’umanità” cinesi in Xinjiang hanno riempito le pagine della stampa internazionale, dal Guardian ai giornali turchi, ad Haaretz. Il 20 gennaio di quest’anno il parlamento francese ha denunciato a maggioranza «la violenza perpetrata dalla Repubblica popolare cinese contro gli uiguri perché costituisce un crimine contro l’umanità e un genocidio».

In queste denunce vengono usate in modo intercambiabile le parole “atrocità”, “massacri”, “genocidio”, “torture”, “crimini contro l’umanità”. In altri casi si parla di “crimini di guerra”. Questi termini sono diventati talmente frequenti nel discorso politico da non destare più alcuna reazione. Inflazionati, hanno perso la capacità di scandalizzarci, indignarci, perfino di farci riflettere.

Mai ci fermiamo a considerare che nella storia dell’umanità, fino alla fine dell’Ottocento, queste categorie erano totalmente estranee al discorso politico. Raro oggetto d’indignazione morale (vedi Bartolomé de las Casas sui massacri degli indios) non erano mai divenute argomento per intraprendere azioni politiche o militari. Come d’altronde nessuno era mai stato condannato per “crimini di guerra”. Il nemico sconfitto poteva essere ridotto in schiavitù, o venire deportato, ma non per questo era considerato un criminale o un malfattore: pena sufficiente era la sconfitta – con le sue implicazioni.

La differenza sostanziale tra i “crimini di guerra” e le “atrocità” sta nel fatto che i primi vengono processati e condannati a guerra finita, come sanzione degli sconfitti e legittimazione dei vincitori, mentre le “atrocità” sono usate come argomento per intraprendere la guerra, sono uno dei modi in cui la modernità “costruisce” il nemico: la stessa azione è definita “atrocità” prima …

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.