Nelle sue Lezioni americane, in quella sulla “molteplicità”, Italo Calvino giudicò La vita istruzioni per l’uso di Georges Perec «l’ultimo vero avvenimento della storia del romanzo». Era il 1985 e Perec era morto tre anni prima, il 3 marzo 1982, quando gli mancavano soltanto quattro giorni per compiere 46 anni.
Un’esistenza molto breve che pure gli è bastata per scrivere tanto e di tutto, raggiungendo in Francia una popolarità notevole, tale da renderlo un autore di culto e da fargli meritare la costituzione dell’Association Georges Perec, l’emissione di un francobollo per i 20 anni dalla sua morte, una lapide sulla facciata del palazzo in rue Linné 13, nel V Arrondissement, dove visse i suoi ultimi otto anni, e l’intestazione di una strada nel XX[1].


Georges Perec aveva ben presto aderito (nel 1967) al gruppo dell’Oulipo (l’Ouvroir de Littérature Potentielle), quando già era noto al pubblico francese per il suo romanzo Les Choses (1965, Prix Renaudot). L’opera più conosciuta di Perec è però senz’altro La Disparition (1969), un intero romanzo scritto senza mai usare la vocale e, una mancanza della quale, all’uscita del libro, alcuni recensori neppure si avvidero. Un’opera decisamente oulipiana, compiuta, cioè, seguendo una regola ben precisa che la informa interamente, una contrainte come quelle che sono sempre alla base della poietica del gruppo.

François Le Lionnais, Raymond Queneau; in piedi, al centro, Georges Perec.
È per questo motivo che il titolare del Café de la Mairie, nel quale Perec sedeva per scrivere quanto accadeva in piazza Saint-Sulpice[2], ha pensato anni addietro di apporre all’interno della veranda, sotto la vera targa, un’altra, fittizia, esplicito riferimento a…