La parola guerra viene dal germanico, e significa mischia. È un’eredità che la nostra lingua ha conservato dall’epoca delle cosiddette invasioni barbariche, e ha sostituito l’idea ordinata, geometrica, di bellum, che rimandava all’assetto delle truppe, alla tecnica della conquista e dell’ordine che ne seguiva. Pacem era una conseguenza della guerra intesa come bellum, il processo per cui a una disposizione militarmente ordinata seguiva uno scontro, e da quello scontro nasceva, infine, una nuova disposizione ordinata.
Alla manifestazione del pacifismo italiano di sabato 5 marzo la comunità ucraina era clamorosamente assente: è scesa in piazza, compatta, solo il giorno dopo. Probabilmente non era stata neanche coinvolta, o se è stata coinvolta, ha declinato l’invito. Le bandiere ucraine si contavano sulle dita di una mano e nessun cittadino ucraino ha potuto perciò imbattersi, presumibilmente, in alcuni cartelli che circolavano in piazza e che dicevano «La pace dipende anche da te». Sarebbe stato interessante, ma forse anche drammatico, sapere come avrebbe risposto una donna ucraina a una tale paternale. Cosa avrebbe pensato, o provato, a sentirsi dire che la pace dipende da lei, mentre la sua comunità è costretta alla fuga e alla resistenza, o in alternativa, alla morte.
Se la guerra ti piomba in casa, sotto forma di bombe o di allarme di evacuazione, un giorno qualsiasi mentre andavi al lavoro, o preparavi da mangiare o stavi giocando o studiando, la pace in quel momento è finita. E non dipende da te. Basta un momento per turbarla e per gettarci nella mischia. Chi crede che la pace dipenda da ciascuna persona inneggia, forse senza rendersene conto, a un individualismo quasi assoluto, del tutto ignaro e disinteressato rispetto alle condizioni dell’esistenza, a ciò che ci accade attorno. La pace è un privilegio: non è un merito, né una scelta. Nella mischia, non può esserci pace, quand’anche cessassero le armi. Perché non c’è armonia, ma confusione. La piazza del 5 marzo si è proclamata come una piazza per la pace; ma era una piazza confusa, in cui il nome del popolo aggredito dalle bombe non è stato quasi fatto, in cui non c’erano le vittime della guerra, e la richiesta che aleggiava sembrava quasi più una autoreferenziale richiesta di pace per sé, per il proprio or…