Guerra e Pace

Fin dove può spingersi l’azione ispirata ai princìpi morali in un mondo imperfetto? Dove deve fermarsi il sostegno alle vittime, la loro protezione e difesa, quando è in campo una forza folle che dichiara di non volersi arrestare dinnanzi a nulla, anche a costo di scatenare la distruzione totale? Può il pacifismo affermarsi come una strada percorribile, in un mondo in cui la guerra, in tutte le sue possibili varianti, è sempre ovunque?

Una domanda rimbalza oggi nelle nostre coscienze: la stessa che viene sollevata nel capolavoro di Tolstoj, l’incomparabile epica moderna che ha per sfondo più o meno il lasso di tempo intercorso tra la prima campagna napoleonica di Russia e la tragica disfatta dell’esercito francese nel 1812. È mai possibile una vita ispirata al Bene, e ai princìpi morali che ne discendono, in un mondo imperfetto? È la domanda che poniamo a noi stessi quando ci interroghiamo su cosa fare quando, nelle sue diverse incarnazioni, il Male irrompe sulla scena del mondo, spezzando o incrinando i disegni delle nostre vite, le nostre aspettative, i nostri patemi, il trantran quotidiano (sempre più raro, a dire il vero). La solidarietà nei confronti delle vittime è già una risposta, poiché soccorrere vuol dire prendersi cura, prestare attenzione, sentirsi responsabili, essere solleciti. E nello sconquasso della catastrofe, questa è la prima, immediata risposta che è chiamato a dare chi, dalla posizione comunque privilegiata dello spettatore, osserva sconcertato, incredulo e indignato quanto accade: una fragilissima testimonianza del Bene contrapposta alla devastazione del Male. Esattamente quanto osserva Calvino nel romanzo Le città invisibili, laddove intravede l’Inferno non chissà dove o chissà quando. Ma sempre qui e ora, attorno a noi, in noi, per mezzo di noi, invitando poi il lettore a imparare a riconoscere ciò che nella quotidianità delle nostre esistenze, per quanto flebile, marginale, trascurato, riesce a sottrarsi al Male (il Paradiso, per restare nella metafora), così da farcene poi carico, permettendogli di acquistare spazio, di diffondersi e, infine, di contagiarci.

La solidarietà nei confronti delle vittime è un aspetto di questa premura. Anche se ha una natura fragilissima, poiché non appena ci chiediamo cosa fare al di là delle sue manifestazioni (i soccorsi assicurati ai profughi, l’accoglienza, le misure ritorsive, le voci di condanna), vediamo subito come la domanda sollevata nelle pagine di Guerra e Pace, per voce di Pierre Bezuchov, continui risonare drammaticamente in tutte             le posizioni di legittima prudenza, di opportunismo, di semplice paura inerente a un possibile allargamento mondiale del conflitto o, catastrofe delle catastrofi, alla sua degenerazione nucleare. Fin dove può spingersi l’azione ispirata ai princìpi morali in un mondo imperfetto? Dove deve fermarsi il sostegno alle vittime, la loro protezione e difesa, quando è in campo una forza folle che dichiara di non volersi arrestare dinnanzi a nulla, anche a costo di scatenare la distruzione totale? Può il pacifismo affermarsi come una…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.