La civiltà della guerra

«Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, le guerre sono lo specchio della società, dove troviamo riflesso tutto: dai rapporti di classe a quelli di genere, dai modelli politici (statali e internazionali) a quelli economici».

Estratto del libro La società autoimmune. Diario eretico di un politologo (Meltemi 2022)

Immaginate che il fato, la lotteria della nascita, vi abbia fatto venire alla luce all’inizio del nuovo millennio a Mosul, nel Nord dell’Iraq. Di per sé potrebbe non essere male: è una delle più grandi città del Paese, snodo commerciale e petrolifero, ha soprattutto una storia che fa risalire le sue origini agli Assiri, al 6000 a.C., quando si chiamava Ninive, e ne conserva ancora tracce straordinarie. È sede di un’università e di un aeroporto internazionale ma, aspetto ancora più rilevante, è anche città a maggioranza sunnita, che gode dei vantaggi che le derivano dall’essere centro propulsore del partito Ba’ath, quello al governo con il suo capo, Saddam Hussein, fin dal 1979: una fucina di impieghi nella pubblica amministrazione, nelle forze armate e nei servizi di sicurezza. Certo, già negli anni Novanta si è trovata coinvolta nel conflitto con i kurdi, nel Nord del Paese; tuttavia il danno principale è stato rientrare nella nofly zone imposta da Stati Uniti e Gran Bretagna.

Purtroppo, però, nel 2003, voi ancora poco più che infanti, Mosul entra a pieno titolo nella guerra globale al terrore scatenata dall’amministrazione Bush (e, a rigore, per effetto di una sceneggiata alle Nazioni Unite che ha visto come protagonista l’eroe di una guerra precedente, combattuta peraltro anch’essa nel vostro Paese nel 1991). Di conseguenza, viene occupata dalle truppe americane e, quel che è peggio, dai contractors delle società militari private, e comincia a essere bersaglio di attacchi terroristici che mietono vittime anche tra i civili. Come se non bastasse, la città deve subire le conseguenze economiche e sociali della radicale e violenta de-ba’athizzazione voluta prima da Paul Bremer, capo dell’autorità provvisoria statunitense in Iraq, e poi perseguita con particolare determinazione dal capo del governo al-Maliki, il quale assume su di sé, oltre alla carica di primo ministro, quelle di ministro della Difesa, ministro dell’Interno, ministro della Sicurezza nazionale e comandante in capo delle Forze armate (ah, le guerre per l’esportazione della democrazia!). Una manna per i reclutatori di Daesh.

Nel 2014, quando siete adolescenti (e, se siete fortunati, maschi), la vostra città viene conquistata dall’ISIL, che la trasforma in una delle sue principali roccaforti e, per festeggiare e fare opera di purificazione, procede alla distruzione di buona parte delle antiche vestigia che l’avevano resa famosa nel mondo. Ma a lanciarla su una nuova ribalta, ancor più risonante e globale, ci pensa il suo capo al-Baghdadi, che proprio dalla moschea di al-Nuri a Mosul proclama la nascita del califfato, il 29 giugno. Nelle sue strade e nei suoi vicoli, poi, si combatte per due anni, tra il 2016 e il 2017, una “guerra di liberazione” che vede schierati contro l’ISIL gruppi kurdi e milizie sciite (mentre Mosul, come si è detto, è tradizionalmente a maggioranza sunnita). Un contesto bellico “anarchico” fatto di linee di comando a dir poco precarie ed esecuzioni sommarie di prigionieri considerati membri di fazioni nemiche (a volte per sentito dire: questo genere di conflitto confina spesso con la faida tra clan o famigli…

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro appiattendosi su posizioni monetariste, la sinistra ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.