“Di fronte alla paura”: le donne non sono mai state estranee alla guerra

L’idea di una intrinseca estraneità delle donne alla guerra, sostenuta anche da una parte del femminismo, è funzionale alla narrazione patriarcale. L’indipendenza femminile e la capacità di autodifesa delle donne infatti contraddicono in modo cogente ogni sistema politico fondato sulla necessità protettiva del patriarcato nei confronti delle donne.

Quando la scrittrice britannica Virginia Woolf si tolse la vita, il 28 marzo del 1941, l’invasione nazista dell’Unione Sovietica non era ancora cominciata. L’operazione Barbarossa di germanizzazione dell’Urss avrebbe avuto inizio il 22 giugno di quell’anno, e avrebbe visto molti mesi di occupazione, resistenza e infine controffensiva e respingimento delle truppe tedesche sul suolo sovietico. Alla Grande guerra patriottica, come da allora la chiamano in Russia, le donne sovietiche – ucraine, russe, bielorusse – parteciparono in massa. Lo racconta, con una preziosa e dolorosa opera di documentazione delle vite di quelle combattenti, la scrittrice Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la letteratura nel 2015, nel suo libro La guerra non ha un volto di donna.

«Di lì a poco il Comitato centrale del Komsomol aveva indirizzato un appello ai giovani di unirsi alla difesa della Patria in pericolo: il nemico minacciava infatti da vicino la stessa Mosca. Possibile? Hitler avrebbe preso Mosca? Non lo permetteremo! Io non ero l’unica a voler andare in prima linea, tutte le ragazze della mia età esprimevano lo stesso desiderio. Mio padre stava già combattendo. Pensavamo comunque di costituire delle eccezioni… di essere speciali… ma quando ci siamo presentate al commissariato di leva abbiamo visto che ce n’erano molte come noi. Sono rimasta meravigliata e ammirata: “Ah!” ho esclamato. E il cuore mi si è infiammato ancora di più, ero tutta un ardore». «Ero un’addetta alle mitragliatrici. Ne ho ammazzati talmente tanti… Dopo la guerra per molto tempo l’idea di avere dei bambini mi spaventava. Ne ho potuto avere solo quando mi sono un po’ calmata… Dopo sette anni… Ma neanche adesso ho perdonato. E non ho intenzione di perdonare niente… […] Mi sembra di aver vissuto due vite: una maschile, l’altra femminile…».

Virginia Woolf, la più importante e autorevole voce delle donne e delle femministe in quel tempo, morì prima di poter conoscere le gesta delle donne protagoniste della resistenza antifascista sovietica. O la bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki. O ancora il campo di concentramento di Auschwitz. Siamo coscienti che la storia, compresa la storia delle idee, non si può fare con i se, ma a volte porsi domande cui accettiamo di non poter rispondere è un esercizio di pensiero necessario: per chiederci se non c’è qualche lato in ombra, nelle nostre riflessioni, che stiamo trascurando. Cosa avrebbe scritto Woolf, se avesse potuto parlare con le donne sovietiche arruolate di loro spontanea volontà al fronte nell’autunno del 1941, di cui racconta Aleksievič? A chi avrebbe affidato le “tre ghinee” del suo celebre pamphlet, se avesse potuto spedirle alle donne resistenti e partigiane in Unione Sovietica, o alle sopravvissute dei campi di concentramento, o alle donne giapponesi di Hiroshima e Nagasaki? Avrebbe cont…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.