L’esercito, le minoranze e il separatismo in Russia: aspetti politico-religiosi. Il caso ceceno

La frustrazione delle minoranze russe (ceceni, daghestani, ecc.) per le condizioni di inferiorità e sfruttamento in cui versano – alto è il tributo di vittime che stanno pagando nella guerra in Ucraina – potrebbe indurle a riaprire il fronte interno del separatismo.

Nell’articolo “Le madri dei soldati (La Stampa, 10/03/2022) Anna Zafesova notava che tra le perdite russe nell’invasione dell’Ucraina ricorressero soprattutto nomi non slavi. Il numero di vittime tra gli appartenenti alle minoranze appariva proporzionalmente ben più elevato rispetto alla loro incidenza demografica nella Federazione. Ceceni, daghestani, calmucchi, circassi, ma anche careliani, tatari, buriati, evenki e yakuti pagherebbero mediamente al conflitto un tributo più alto rispetto ai russi etnici. Queste proporzioni rimangono a oggi inalterate.

Specularmente, il Cremlino cerca di attrarre reclute tra le file delle minoranze russe disseminate nelle altre repubbliche ex sovietiche, specie in quelle dell’Asia centrale, con la promessa di facilitare le procedure per l’ottenimento della cittadinanza. Molti sono appena maggiorenni, e alcuni sono addirittura soldati di leva, come lo stesso stato maggiore è stato costretto ad ammettere dopo averlo ripetutamente negato. Zafesova osservava che si impiegano questi soldati provenienti da regioni remote e, spesso, povere per distogliere il più possibile l’attenzione popolare dai costi umani dell’operazione. Costi che mal si concilierebbero con la retorica trionfalista che gronda da tutti i media ufficiali, anche se si sta iniziando a riconoscere che “l’immancabile vittoria” richieda tempo.

Una guerra che non può essere chiamata guerra

L’“operazione militare speciale” viene descritta come un tempo supplementare della Grande Guerra Patriottica (1941-1945) contro il nazifascismo. L’argomento ha facile presa in un Paese in cui è ancora venerata la memoria dei venti milioni di russi – sui quasi trenta totali dell’Unione Sovietica –

caduti nella liberazione della propria nazione e di mezza Europa dal Terzo Reich. Per ora, più di otto russi su dieci sarebbero favorevoli all’“operazione militare speciale”. Erano sette su dieci un mese fa. Questo almeno dicono persino le recenti (30/03/2022) rilevazioni del Centro Levada, istituto di provata autonomia, che il regime non sopprime un po’ per evitare ulteriori grane con gli occidentali, ma soprattutto per disporre di dati piuttosto attendibili.

Accanto all’indubbia abilità di Putin nel serrare le file attorno alla bandiera, viene da chiedersi se la demoscopia, per quanto accurata sul piano metodologic…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.