Soft power turco: il volto buono della democratura

Dosando l’hard power degli investimenti (umanitari, economici e militari) e il soft power della retorica solidarista e anti-colonialista, la Turchia di Erdoğan è riuscita a costruirsi un’area di influenza espansa alle periferie del mondo occidentale.

Dove non arriva la spada

Cure dentali a prezzi concorrenziali. Interventi di rinoplastica, trapianto di capelli e mastoplastica additiva che garantiscono vette di qualità e risparmio. Agenzie che offrono pacchetti combinati di turismo medico e culturale tra Istanbul e la Cappadocia. Fiction che conquistano i palinsesti mondiali, infiltrandosi anche in quelli italiani (Canale 5 ha fatto da apripista), col primo attore – tale Can Yaman – improvvisamente divenuto protagonista del gossip, nonché di blog in stile venite, adoremus, che radunano telespettatrici infervorate. È così, attraverso il boom turistico-medicale-televisivo, che i media non specialisti di geopolitica hanno scoperto il potere attrattivo della Turchia, chiamandolo, semplicisticamente, soft power.

Curioso che il riferimento al soft power turco diventi d’uso comune proprio adesso che la Turchia stessa, e in particolare il suo leader Erdoğan, lo ha accantonato, o comunque fortemente ridimensionato, nella discorsistica ufficiale. Ancora nel 2011, parlando agli addetti commerciali presso le ambasciate, Erdoğan citava le risorse culturali e storiche della Turchia come veicolo per incidere in politica estera su scala regionale e globale, e menzionava alcune istituzioni pubbliche (l’agenzia per la cooperazione TIKA, l’Istituto culturale Yunus Emre e il canale televisivo TRT) come asset di soft power[1]. Ma già l’anno seguente correggeva il tiro preferendo parlare, al posto di soft power, di “potere flessibile”, quello capace cioè di aprire «le porte che non possono essere aperte dalla spada»[2]; e successivamente, nel 2013, invocava l’ascesa dell’industria militare turca con queste parole: «Una pretesa di soft power che non venga supportata dal potere deterrente rimane un mero discorso»[3].

È innegabile che sia in atto una manovra di re-branding della Turchia, coincidente col progressivo disvelamento del regime di Erdoğan come democratura lesiva dei diritti civili e individuali. Ma non tutto rientra in una strategica operazione autopromozionale e di whitewashing. Se l’appeal dell’offerta sanitaria turca è sicuramente il risultato degli investimenti pubblici nell’istruzione medica di eccellenza, l’exploit internazionale delle fiction (di cui la Turchia è il secondo produttore al mondo) si è generato in modo un po’ casuale al di fuori del controllo del governo. Almeno finché il regime non ha curvato le produzioni tv – fino ad allora impegnate a sfornare solo commediole romantiche e illibate, benché di livello superiore alle telenovelas sudamericane, se non altro per l’ottima fotografia e il ricorso a location mozzafiato tra Istanbul e i suoi dintorni naturalistici – a realizzare anche saghe neo-ottomane che celebrano la fondazione dell’Impero che fu. Risultato: un successo c…

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro appiattendosi su posizioni monetariste, la sinistra ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.