Utilità e provvidenza

L’espressione, con vent’anni di anticipo su Smith, del concetto di ‘mano invisibile’ nella regolazione dei mercati e l’inconciliabilità di Provvidenza e utilità quali fondamenti della moralità in due testi del grande filosofo inglese.

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Presentazione di Alessandra Attanasio

Hume, Smith e la mano invisibile

Il primo testo che presentiamo (p. 178) è un manoscritto interamente di pugno di David Hume (1711-1776), è stato ritrovato recentemente nella Henry E. Huntington Library della California tra i Pulteney Papers, una collezione acquistata da parte della Huntington Library da Maggs Brothers nel 1952. La collezione comprende quasi esclusivamente scritti di sir William Johnstone Pulteney (1720-1805), avvocato, politico, e amico di David Hume e di Adam Smith. La traduzione è tratta dalla versione finale del manoscritto che Hume intendeva dare alle stampe. Il testo fu pubblicato come Advertisement anonimo a Charles Smith, Short Essay on the Corn Trade and Corn Laws (1758), ma in forma ridotta e censurata, con la soppressione di tutte le notazioni di Hume contro la religione e i pastori di Dio. Il ritrovamento del manoscritto permette di attribuire senza alcuna incertezza l’Advertisement a Hume che, con questa difesa del laissez-faire, anticipa di quasi vent’anni la posizione sostenuta da Adam Smith nel libro IV della Ricchezza delle nazioni (1776). Ringrazio vivamente David R. Raynor (curatore della nuova edizione della corrispondenza di Hume, in corso di preparazione per la stampa) per la gentile segnalazione del testo e la sollecitazione a renderlo pubblico in Italia.

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Il secondo testo (p. 180), cioè l’estratto della Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith, è tratto da «Hume’s Abstract of Adam Smith’s Theory of Moral Sentiments», a cura di David R. Raynor, ed è stato pubblicato la prima volta in The Journal of the History of Philosophy, vol. 22, n. 1 (gennaio 1984), pp. 65-79. David R. Raynor dimostra nella sua presentazione che l’estratto anonimo della Theory of Moral Sentiments, comparso in Smollett’s Critical Rewiew nel maggio 1759, è da attribuire a Hume. Nonostante la coerenza degli argomenti addotti, rimane qualche dubbio sulla sua attribuzione a Hume per la presenza del paragrafo conclusivo: «Il secondo pregio (…) pericolosi o dannosi» (è difficile separare il filosofo dall’uomo di fede). Considerate le posizioni di Hume in materia religiosa e le numerose critiche all’amico, che hanno portato Smith ad attenuare il ruolo della religione nelle edizioni successive della Theory (ho argomentato questo punto in «Adam Smith e la “contaminazione” di David Hume», MicroMega, n. 1/1996), questo paragrafo sembrerebbe incoerente. Tuttavia, considerato lo «spirito» di Hume, questo unico passo dubbioso può ritenersi compatibile con la sua ironia. Anche perché alcune prove interne al testo sembrano essere inconfutabili, come ad esempio la corrispondenza degli argomenti e dello stile della prima pagina con l’attacco dell’Estratto di un Trattato della natura umana (1740), anch’esso pubblicato anonimo da Hume: i «giudici adeguati», i «pregiudizi dei pochi», i «sistemi» già formati al riguardo eccetera.

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1. «Chi ha inventato la mano invisibile?»: è la domanda posta da David R. Raynor nella presentazione al pubblico di questo nuovo manoscritto di David Hume, datato 1758. L’importanza di tale scritto è notevole. Non solo perché, insieme all’altro manoscritto di David Hume, il «Frammento sul male» (1), è l’unico venuto alla luce in questo secolo, ma soprattutto perché anticipa di quasi vent’anni (1758) l’applicazione ai fatti economici del concetto di «mano invisibile», divenuto famoso con la Ricchezza delle nazioni (1776) di Adam Smith (1723-90) (2). Il manoscritto è una difesa del laissez-faire, del libero mercato dei prezzi, e della libera circolazione delle merci. Inizia e finisce con l’attacco sarcastico e ironico all’alleanza tra ignoranza e religione, che Hume combatté tutta la vita, e che in questo manoscritto si presenta come alleanza tra popolino ignorante e preti, contro i mercanti di grano.

Nell’autunno del 1756, il prezzo de…

A Hebron è in vigore l’oppressione permanente dei palestinesi

Dalle punizioni collettive alle tecniche di sorveglianza e riconoscimento facciale,  passando per le “sterilizzazioni” delle strade dalla presenza palestinese come le chiamano i soldati, ogni “misura temporanea di sicurezza” che istituzioni e coloni israeliani testano su Hebron diventa poi uno strumento d’oppressione permanente imposto sull’intera Cisgiordania. Per usare le parole di Issa Amro, leader della resistenza non violenta nella regione, Hebron è il “laboratorio dell’occupazione”.

“Israelism”, la rivolta dei giovani ebrei negli USA contro l’indottrinamento sionista

Il film di Sam Eilertsen ed Erin Axelman “Israelism”, proiettato recentemente in Italia, racconta il processo di presa di coscienza di una intera generazione di ebrei americani cresciuti fin da bambini in un ambiente di ferreo indottrinamento al culto di Israele e alla propaganda sionista. Finché molti di loro, confrontandosi con la realtà dei palestinesi attraverso viaggi sul posto o nei campus universitari, non capiscono di essere stati spinti ad annullare la loro ebraicità nella fede cieca in un progetto etnonazionalista.

Basta con le Identity politics: non conta se sei oppresso ma se combatti l’oppressione

Nella sinistra postmoderna il discorso sull’oppressione tende a ridursi al punto di vista della vittima. Gli oppressi vengono collocati all’interno di un gruppo indifferenziato la cui unica cifra è l’oppressione stessa. Questo atteggiamento porta ai giudizi ad hominem, poiché non contano tanto le idee ma la posizione in cui si colloca chi le esprime: se non sei un oppresso, non puoi parlare di emancipazione. Se sei un “vecchio uomo bianco”, tenderai sempre e solo a voler mantenere i tuoi privilegi. Le discussioni su chi ha il diritto di parola dovrebbero però lasciare il posto alle discussioni su che cosa ha da dire.