La lotta per le riparazioni non può ignorare il cambiamento climatico

La catastrofe climatica rischia di cristallizzare le ingiustizie distributive che abbiamo ereditato dalla storia. Per questo un progetto di riparazione politicamente serio deve tenere conto delle connessioni tra crisi climatica, schiavitù e colonialismo.

Negli ultimi anni la questione delle riparazioni ha visto una rinascita di interesse dovuta a più fattori. L’influente saggio di Ta-Nehisi Coates, “The Case for Reparations“, apparso nel 2014 su The Atlantic, ha scatenato una tempesta di reazioni in tutto lo spettro politico, culminata anni dopo (nel 2019) in una “storica” audizione al Congresso. Sulla scia dell’omicidio di George Floyd e delle ribellioni del 2020, task force di programmi di riparazione sono state lanciate nella città di Detroit e nello Stato della California mentre un programma di pagamento degli alloggi è stato lanciato a Evanston. L’anno scorso, infine, la risoluzione 40 della Camera (presentata ogni anno al Congresso da quando John Conyers Jr. lo fece per la prima volta nel 1989, chiedendo una commissione per studiare i risarcimenti per la schiavitù), ha finalmente passato l’esame della Commissione Giustizia per essere sottoposta all’aula.

Ma in cosa consiste esattamente la richiesta di riparazioni e che tipo di movimento politico comporta? L’etichetta è stata applicata a una vasta gamma di programmi e politiche, dai pagamenti diretti in contanti agli afroamericani alle scuse simboliche, dalla creazione di musei e siti di riconoscimento spirituale agli studi accademici sulla natura del razzismo sistemico. In un saggio del 2016, il politologo Adolph Reed Jr. ha preso di mira questa caratteristica della richiesta di riparazioni, descrivendola come una miscela di «componenti materiali, simboliche e psicologiche». Reed pensa che questa ambiguità sia un peso, dal momento che le élite possono scegliere la versione delle riparazioni più economica per loro: quella simbolica. Ancora più importante, sostiene Reed, un investimento eccessivo in riparazioni simboliche potrebbe sottrarre energia e risorse a un progetto politico alternativo e preferibile: «Costruire un’ampia solidarietà tra razza, genere e altre identità attorno a preoccupazioni condivise della vita quotidiana» come «l’accesso a un’assistenza sanitaria di qualità, il diritto a un sostentamento dignitoso, alloggi a prezzi accessibili, istruzione di qualità per tutti». Reed avverte quindi che la richiesta di risarcimento per alcuni distrae da un progetto politico più degno che fornirebbe giustizia a tutti, un’obiezione espressa anche durante l’udienza alla Camera del 2019.

Ma cosa accadrebbe se il progetto di riparazione fosse il progetto per «quartieri più sicuri e scuole migliori», per un «sistema giudiziario meno punitivo», per «il diritto a un sostentamento dignitoso»? Rispondendo a Reed su Dissent nel 2019, l’esperta di studi afroamericani Keeanga-Yamahtta Taylor ha sottolineato che la lotta per costruire un sistema sociale giusto non può essere vinta solo attraverso programmi “universali” che affrontano problemi comuni. Taylor fornisce l’esempio della grande disparità nella mortalità materna tra donne nere e donne bianche: la storia di trattamenti e politiche discriminatorie mostra che non tutti i problemi sociali rilevanti sono, di fatto, comuni a entrambe. Per costruire un sistema sanitario giusto, dovremmo affrontare sia la mancanza di accesso dovuta a strutture economiche ingiuste, sia la mancanza di accesso dovuta a ingiuste discriminazioni di genere e di razza. Dal …

Eugène Ionesco e la nostra buffa esistenza

Il 28 marzo 1994 moriva il grande drammaturgo rumeno Eugène Ionesco. Ricordarne la figura e il teatro significa riscoprire il fascino per la sua oscurità buffa, che ci mette di fronte alle nostre esistenze, strabilianti e atroci al tempo stesso, ridicole e tragiche, in cui non c’è la luce di un Dio infinito ad illuminare la via, non c’è speranza o fede ma solo la ricerca del senso in questo costante non senso.

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Nel sessantesimo anniversario del golpe militare in Brasile che inaugurò una lunga dittatura, hanno suscitato indignazione e polemiche le parole dell’attuale Presidente Lula che ha dichiarato di non voler “rivangare il passato”. Una posizione respinta con sdegno dai parenti delle vittime della dittatura: “ripudiare con veemenza il golpe del 1964 è un modo per riaffermare l’impegno a punire i colpi di Stato anche del presente e scongiurare eventuali tentativi futuri”.