Dal G8 di Genova alla guerra in Ucraina, Di Sisto: “Siamo sempre noi, quelli della complessità”

Intervista a Monica Di Sisto, giornalista e vicepresidente di Fairwatch, ONG di economia solidale. Al centro, due anni di pandemia e, ora, lo scenario della guerra in Ucraina. In mezzo, il ritorno di un attivismo politico che non si vedeva da tempo.

La nona intervista della serie “La politica che (non) c’è” è a Monica Di Sisto, giornalista, vicepresidente di Fairwatch, ONG italiana di economia solidale. Al centro, due anni di pandemia e, ora, lo scenario della guerra in Ucraina. In mezzo, il ritorno di un attivismo politico che non si vedeva da tempo. Forse addirittura dai tempi di Genova. Ed è proprio da qui che parte la nostra chiacchierata. Perché dal post G8 del 2001” è emersa quella disconnessione sentimentale tra la politica istituzionale e la politica diffusa. Era nella rappresentanza che il lavoro delle associazioni, dei movimenti e della società civile poteva trovare un terminale”.

Due anni di pandemia e ora il conflitto in Ucraina. Guardando alla situazione politica italiana, sembra di essere tornati indietro di più di venti anni. C’è un fermento, una mobilitazione, in qualche modo una sorta di coordinamento che riporta alla mente il pre-Genova 2001.
I movimenti, Don Gallo, Don Ciotti, l’Arci, Legambiente, i sindacati. Genova era questa cosa qui. Già due decenni fa avevamo delineato quale sarebbe stata la traiettoria della globalizzazione. Una traiettoria che definirei scomoda in primis per la politica istituzionale. Già allora parlavamo di finanziarizzazione della politica, di disconnessione dell’economia dall’economia reale, di accentramento decisionale in sedi non istituzionali, di restrizione del campo democratico. Tutti fenomeni che nei venti anni successivi si sono non solo materializzati, ma mostrati con una forza addirittura inaspettata. In quel momento la politica della rappresentanza si è distaccata dal nostro mondo. Ma direi anche che il nostro mondo non si è mai liquefatto come invece è accaduto ai partiti. Ci siamo forse un po’ “persi”. Ma direi anche che oggi siamo di nuovo qui. Con al nostro fianco molte forze in più, a partire dai giovani che lottano contro il cambiamento climatico.

Cosa è successo in questi venti anni?
Dopo Genova avevamo capito che avremmo dovuto continuare da soli. E soli siamo stati. Così ci siamo inventati di tutto. Abbiamo lavorato da lobbisti, portato avanti battaglie importanti – penso a quella sull’acqua pubblica –, contrastato trattati dai nomi difficili, prodotto dossier sulla crisi climatica e ambientale. Abbiamo, in poche parole, fatto il lavoro che avrebbe dovuto fare la politica. Dall’altra parte, invece, si è palesata una vera e propria scollatura – una disconnessione sentimentale – tra la politica della rappresentanza e il nostro mondo.

Perché?
Perché è mancato il coraggio di affrontare le nuove sfide della globalizzazione. E allora si è preferito lavorare alle riforme elettorali, a portare avanti una politica dei prescelti. Si è preferito bloccare le liste elettorali per garantirsi un posto da parlamentare.

E le due strade non si sono più incontrate.
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