Dal liberalismo all’ambientalismo: dove va la sinistra?

Il paradigma dei diritti non basta a distinguere destra e sinistra, perché più che i diritti conta il modo con cui li si ottiene, mantiene e applica: contano le lotte per la giustizia e per il potere. Una riflessione a partire dal volume “La conquista dei diritti” di Emanuele Felice (Il Mulino).

In pagine famose, Norberto Bobbio ebbe a chiedersi: considerando il corso storico nel suo complesso, esiste un fine verso cui esso è diretto? Dopo aver osservato che «la storia ha solo il senso che noi di volta in volta, secondo le occasioni, i nostri desideri e le nostre speranze, le attribuiamo», egli rispose sostenendo che la crescente attenzione nei riguardi dei diritti soggettivi «può essere interpretata come un “segno premonitore” (signum prognosticum) del progresso morale dell’umanità»[i]. Nel suo libro più recente, Emanuele Felice adotta pure lui la prospettiva della filosofia della storia, e anche lui individua nel contrastato percorso di conquista dei diritti la chiave del progresso[ii]. A differenza di Bobbio, tuttavia, Felice suggerisce «che la storia umana può trovare significato nell’idea di progressiva estensione dei diritti e dei doveri»[iii]; e che questo processo possa costituire il segno non soltanto di un progresso morale, bensì anche di avanzamenti politici. Si tratta di tesi intriganti, la cui rilevanza merita di essere soppesata.

Cominciamo esaminando il nesso tra diritti e doveri. Secondo Felice, i diritti diventano anche doveri man mano che si espandono. «I diritti sociali (cioè il diritto all’istruzione, alla sanità, alla casa, a un giusto salario) pongono dei doveri a chi già gode dei diritti civili ed economici, ed in particolare al principale dei diritti caro ai liberali, quello alla proprietà […]. I diritti ambientali sono, a ben vedere, non solo il diritto che tutti abbiamo di vivere in un ambiente salubre, ma i diritti umani delle persone che vengono dopo di noi, così come i diritti degli altri animali appartenenti alle specie senzienti: verso tutti loro noi abbiamo oggi delle responsabilità, cioè dei doveri»[iv]. L’idea di Felice richiama, sebbene non espressamente, la vetusta distinzione tra diritti negativi e positivi[v]. I primi si basano su divieti od obblighi consistenti nell’astenersi da determinati comportamenti (ad esempio: “non puoi entrare nella proprietà altrui”); gli altri poggiano invece su interventi, potendo essere realizzati soltanto se impongono ad altri determinati obblighi positivi (ad esempio: “la salute pubblica richiede ospedali; l’autorità pubblica deve procurarsi le risorse dai cittadini e costruirli”). Ma gli interventi, a loro volta, richiedono il coinvolgimento responsabile dei soggetti, e quindi il passaggio al versante dei doveri.

Questa tesi assume rilievo politico, in quanto costituisce la premessa per sostenere, da parte di Felice, che i grandi movimenti collettivi degli ultimi secoli – il liberalismo, il socialismo e l’ambientalismo – possono convergere. In estrema sintesi, la sua idea è che il liberalismo ebbe a concentrarsi sui diritti civili (quelli di libertà), che il socialismo si batté per introdurre i diritti sociali (quelli di eguaglianza) e che infine l’ambientalismo chiama in causa i diritti della natura, di ogni essere senziente e delle generazioni future (quelli di fratellanza, portando a compimento la spinta ideale espressa dal celebre motto – Liberté, Égalité, Fraternité – della Rivoluzione francese). L’approccio di Felice suggerisce quindi che la sinistra del XXI secolo dovrebbe riflettere ed agire entro le coordinate dei diritti in espansione; e che quelle coordinate sono in grado di raccogliere e rilanciare il meglio dei grandi filoni politico-ideologici contemporanei.

Nei rig…

A Hebron è in vigore l’oppressione permanente dei palestinesi

Dalle punizioni collettive alle tecniche di sorveglianza e riconoscimento facciale,  passando per le “sterilizzazioni” delle strade dalla presenza palestinese come le chiamano i soldati, ogni “misura temporanea di sicurezza” che istituzioni e coloni israeliani testano su Hebron diventa poi uno strumento d’oppressione permanente imposto sull’intera Cisgiordania. Per usare le parole di Issa Amro, leader della resistenza non violenta nella regione, Hebron è il “laboratorio dell’occupazione”.

“Israelism”, la rivolta dei giovani ebrei negli USA contro l’indottrinamento sionista

Il film di Sam Eilertsen ed Erin Axelman “Israelism”, proiettato recentemente in Italia, racconta il processo di presa di coscienza di una intera generazione di ebrei americani cresciuti fin da bambini in un ambiente di ferreo indottrinamento al culto di Israele e alla propaganda sionista. Finché molti di loro, confrontandosi con la realtà dei palestinesi attraverso viaggi sul posto o nei campus universitari, non capiscono di essere stati spinti ad annullare la loro ebraicità nella fede cieca in un progetto etnonazionalista.

Basta con le Identity politics: non conta se sei oppresso ma se combatti l’oppressione

Nella sinistra postmoderna il discorso sull’oppressione tende a ridursi al punto di vista della vittima. Gli oppressi vengono collocati all’interno di un gruppo indifferenziato la cui unica cifra è l’oppressione stessa. Questo atteggiamento porta ai giudizi ad hominem, poiché non contano tanto le idee ma la posizione in cui si colloca chi le esprime: se non sei un oppresso, non puoi parlare di emancipazione. Se sei un “vecchio uomo bianco”, tenderai sempre e solo a voler mantenere i tuoi privilegi. Le discussioni su chi ha il diritto di parola dovrebbero però lasciare il posto alle discussioni su che cosa ha da dire.