La corsa al riarmo e il ritorno dell’incubo atomico

La fine dell’epoca degli accordi per la riduzione degli armamenti nucleari. Il boom della spesa militare globale. Le trasformazioni dell’industria bellica. La guerra in Ucraina e la geopolitica del caos. Intervista a Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Archivio Disarmo.

Sono passati 50 anni da quando, nel maggio del 1972 a Mosca, Nixon e Brežnev firmano il SALT I (Strategic Arms Limitation Talks – Negoziato per la limitazione delle armi strategiche), un passo avanti nella distensione dei rapporti tra USA e URSS esattamente 10 anni dopo la crisi dei missili sovietici installati a Cuba. A 30 anni di distanza da quegli accordi Stati Uniti e Russia, Clinton e Putin si trovarono di nuovo al tavolo del negoziato, stavolta a Pratica di Mare, per siglare un nuovo accordo di non proliferazione degli armamenti. Quest’ultimo accordo sancì la fine della guerra fredda per come l’avevamo conosciuta. Oggi tutto questo sembra lontano mentre vediamo simulazioni di attacchi nucleari verso le capitali europee da parte della Russia e un flusso continuo di armi verso la resistenza ucraina. Abbiamo intervistato Maurizio Simoncelli, Vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo.

Simoncelli, visti con gli occhi di chi oggi sta vivendo una guerra, sembrano lontani questi due accordi?
Decisamente sì. Dobbiamo ricordarci che durante la guerra fredda USA e URSS avevano due alleanze militari contrapposte, la NATO e il Patto di Varsavia, ma avevano un contatto costante e trattative per potersi parlare, incontrare, discutere. Però l’accordo reciproco era quello di non nominare mai le armi nucleari per minacciare l’avversario, perché si dava per assodata la dottrina della mutua distruzione e quindi esisteva un tacito accordo per evitare un’escalation che portasse all’utilizzo di armi nucleari.

Però c’è stata la crisi dei missili a Cuba che ha portato il mondo a un passo dal baratro.
Dopo quella crisi è stata attivata la famosa “linea rossa” tra Washington e Mosca e in generale tutta quella fase storica è stata contrassegnata da trattati firmati e lunghi negoziati che li precedevano, con un contatto costante tra le diplomazie.

Cosa è successo dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica? Ci sono stati dei trattati tra Russia e USA come lo START II, il SORT e il NEW START che prevedevano un numero massimo di testate nucleari e di missili a lunga gittata. Sono sufficienti?
Il clima era cambiato completamente, facendo saltare nuovi negoziati e vecchi trattati, come “Cieli Aperti” che prevedeva il controllo reciproco delle proprie truppe con i satelliti. Il primo a ritirarsi è stato Trump nel 2020 e a seguire Putin nel 2021, facendo fallire di fatto il trattato firmato nel 1992. Questi vengono chiamati trattati di “confidence building”, per cui un nemico rimane tale ma gli faccio vedere quali sono le mie intenzioni in campo militare. Tutto questo è andato scomparendo, così come le collaborazioni tra NATO e Russia nei primi anni dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica.

E intanto aumentavano le spese militari in tutto il mondo, con un nuovo nemico per l’occidente, l’estremismo islamico.

Giù le mani dai centri antiviolenza: i tentativi istituzionalisti e securitari di strapparli al movimento delle donne

Fondamentale acquisizione del movimento delle donne dal basso, per salvarsi la vita e proteggersi dalla violenza soprattutto domestica, oggi i centri antiviolenza subiscono una crescente pressione verso l’istituzionalizzazione e l’irreggimentazione in chiave securitaria e assistenzialista. Tanto che ai bandi per finanziarli accedono realtà persino sfacciatamente pro-patriarcali come i gruppi ProVita o altre congreghe di tipo religioso.

Contro l’“onnipresente violenza”: la lotta in poesia delle femministe russe

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