Pensare di essere nel corpo sbagliato. Gli adolescenti e la transessualità

Ogni giorno di fronte agli psicoterapeuti siedono ragazze e ragazzi che pensano che cambiare sesso potrebbe essere la soluzione ai loro problemi. Ma gli adulti a loro vicini sanno (o dovrebbero sapere) che non sempre è vero, e hanno il dovere di mostrare loro un’altra via.

Sono una psicoterapeuta per bambini e adolescenti. Ogni giorno mi trovo di fronte alla sofferenza, alla malattia, all’angoscia e alla disperazione. E all’odio verso il proprio corpo, tanto odio verso il proprio corpo! I nostri figli crescono in un mondo che rende loro difficile amare il proprio corpo. I miei pazienti adolescenti pongono a se stessi così tante condizioni: la taglia giusta, la forma giusta, i vestiti giusti, il modo giusto di muoversi. E pensano costantemente di non essere abbastanza, di non soddisfare gli standard. Sono troppo grassi, troppo magri, troppo alti, troppo bassi, troppo formosi, troppo smilzi, troppo esili… Sono convinti di non meritare di essere amati.

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Mi ritrovo di fronte a ragazze che mi dicono di essere “in realtà” dei ragazzi. Ragazze a cui fin dall’asilo, dalla scuola elementare è stato ripetuto continuamente: “Una ragazza non fa così!”; “Non è da ragazze!”; “Sei un ragazzo mancato!”. Perché erano più robuste o più selvagge di quanto ci si aspetti da una ragazza; perché magari volevano azzuffarsi e si strappavano i vestiti mentre giocavano; perché mostravano scarso interesse per il trucco e i brillantini, perché erano interessate alla scienza o ad altre cose che noi ancora consideriamo “interessi da maschi”. E allora: “Tornate nel ‘Settore bambine’!”. Ma nel settore bambine non si sentono a loro agio. A esso non sono granché adatte. Non sorridono abbastanza e sono più interessate al calcio che alla ginnastica. Hanno difficoltà a farsi delle amiche. Si arrabbiano quando vengono loro negate certe cose perché quelle cose “le bambine non possono farle, non devono farle”.

E poi arrivano le mestruazioni, quelle “cose” fastidiose ancora oggi tabù, e spesso anche abbastanza dolorose. I seni crescono e gli uomini iniziano a guardare. Poi si aggiunge lo stress scolastico, i problemi con i genitori e il faticoso processo di crescita. Tutto sembra sbagliato. Soprattutto il proprio corpo. E la frase “in realtà sei un ragazzo” suona come una rivalutazione alle loro orecchie. Come una promessa di fuga dalle mancanze della femminilità e la possibilità di essere ciò che vogliono senza essere criticate per questo. Una sorta di “apriti sesamo” per i loro desideri e sogni. Pensano di aver trovato la soluzione.

Vedo davanti a me queste ragazze meravigliose, “giuste”, che vivono come una violenza le aspettative sul ruolo delle donne. Queste ragazze sono un invito ad abbandonare finalmente gli standard che poniamo a uomini e donne. Un invito a lasciare che le persone si sviluppino secondo il loro temperamento, il loro talento, i loro interessi, invece di chiuderle in angusti confini rosa o blu, che lasciano poco spazio per respirare.

Vedo queste ragazze che si fasciano il seno e nascondono i fianchi sotto abiti larghi, che comprano i pantaloni nel reparto maschile perché sono molto più pratici e hanno tasche più grandi (anzi, hanno delle tasche!); ragazze che soffrono perché si sentono diverse, e penso: proprio loro potrebbero mostrarci quanto sia forte e varia la femminilità. Proprio loro potrebbero contribuire all’uguaglianza di genere, mostrandoci che i nostri stereotipi sono sbagliati, perché si applicano ad alcune donne, ma non ad altre. Ma le mie pazienti non la vedono così. Non pensano che siano gli stereotipi sulle ragazze a essere sbagliati, pensano di essere loro sbagliate. Che il loro corpo sia sbagliato. Che sono in realtà dei maschi e che la soluzione stia in un trattamento ormonale con testosterone e nella rimozione di seno e utero.

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Mi trovo di fronte a questi ragazzi che mi dicono che “in realtà” sono delle ragazze. Mi dicono quanto si sentono a disagio nei gruppi di ragazzi, dove i maschi devono sempre essere così forti, dove tutto è così macho, il linguaggio così rude e dove agli uomini non è permesso mostrare alcun sentimento. Loro però non sono abbastanza fighi per questo, non sono abbastanza duri. Sono troppo sensibili, troppo teneri, troppo insicuri. Associano l’essere uomo a una violenza, a un’aggressività, a una spietatezza, a un’assertività che a loro manca.

Non hanno modelli maschili premurosi e sensibili, che possano piangere e ammettere le proprie insicurezze. Non riescono a identificarsi con gli eroi di Hollywood, sempre forti, né tantomeno con i loro padri che picchiano le loro madri. Da un lato, la brutalità che associano alla virilità li disgusta; dall’altro, si sentono troppo deboli per essere all’altezza di ciò che pensano significhi essere un uomo. Non si può mai avere paura! Mai ammettere un’insicurezza! Mai essere debole! Essere un uomo è così faticoso! Per le ragazze è diverso. Possono piangere e avere paura. Essere tenere.

“Da ragazza, sarei dura, selvaggia e ribelle. Una ragazza che non gioca secondo le regole”, mi dice un ragazzo di 17 anni la cui fobia sociale è così forte che non riesce neanche a comprare qualcosa in panetteria da solo. “Da ragazza è tutto più facile, puoi manovrare tutti”, mi dice un altro, che fa fatica a star dietro ai requisiti di rendimento della scuola.

Vedo davanti a me questi ragazzi meravigliosi, “giusti”, che si sentono sbagliati, che non riescono ad adattarsi, che hanno difficoltà a farsi degli amici e che pensano che come ragazze sarebbe finalmente loro permesso di essere come si sentono, e allora sarebbero finalmente “giusti” e la vita non sarebbe più questo enorme peso di cui non si sentono mai all’altezza.

Questi ragazzi rappresentano un invito a tutti noi a lasciare finalmente gli uomini liberi da questa aspettativa soffocante di una forza definita dall’impavidità, dall’assertività e dalla mancanza di tenerezza. Vedo questi ragazzi che soffrono perché sono diversi e che pensano di aver trovato la soluzione: cambiare sesso. E penso: proprio loro potrebbero mostrarci quanto possa essere tenera e varia la mascolinità. Proprio loro potrebbero contribuire all’uguaglianza di genere, mostrandoci che i nostri stereotipi sono sbagliati, perché si applicano solo ad alcuni uomini, ma non ad altri.

Ma i miei pazienti non la vedono così. Non pensano che siano gli stereotipi sui ragazzi a essere sbagliati, pensano di essere loro sbagliati. Che il loro corpo sia sbagliato. Pensano di essere in realtà delle ragazze e che la soluzione stia in un trattamento ormonale, nella rimozione del pene e nella creazione di una vagina nuova di zecca.

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Tutto si può fare. Tutto si può modificare. Anche il sesso biologico. Le condizioni fisiche non devono più essere accettate per quello che sono. Possiamo dare ormoni per tutta la vita e operare, operare, operare, un intervento dopo l’altro. Possiamo trasformare le ragazze in ragazzi e i ragazzi in ragazze. Possiamo iniziare anche prima della pubertà.

L’idea di una “identità di genere” che può essere scelta liberamente indipendentemente dal corpo, fornisce ai giovani un modello esplicativo e una via d’uscita. Soffrono, e sono grati e sollevati per la via d’uscita che viene loro offerta.

Ma la psicoterapia può fare di più. Ci sono altri modelli esplicativi e altre soluzioni. Ci sono disturbi mentali che devono essere trattati prima di prendere decisioni di vasta portata come quelle che riguardano interventi medici irreversibili. La depressione o l’ansia sociale sono spesso considerate come conseguenze di una disforia di genere. Tuttavia, questa è solo una tesi. La mia esperienza è che il successo del trattamento dei sintomi depressivi e dell’ansia sociale è spesso accompagnato da un sollievo e da un cambiamento di prospettiva riguardo alla propria identità di genere.

Tratto giovani con depressione, disturbi d’ansia, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi alimentari. Giovani con esperienze traumatiche, giovani che soffrono e che spesso vedono solo le proprie mancanze. Al di là degli interventi specifici per il disturbo in questione, il mio compito è quello di aiutare questi giovani a ritrovare la propria autostima. Concentro la mia attenzione sui loro punti di forza, che loro stessi spesso non vedono più. O non hanno ancora visto.

È possibile che una ragazza si sieda davanti a me piangendo e dica: “La prego, mi lasci prendere il testosterone!” e qualche mese dopo: “Grazie a Dio non mi è stato permesso! Ora so che il problema non era il mio corpo e che va bene che io sia una ragazza”. È possibile che una ragazza, convinta che come ragazzo tutte le sue difficoltà si risolverebbero dopo alcuni mesi di psicoterapia, dica: “Ora so che non sono transgender. A un certo punto mi sono fissata su quello, ma in realtà non era affatto quello il problema”.

Dopo un processo di riflessione di alcuni mesi la riconciliazione con il proprio corpo e il proprio genere è possibile. Ed è nostro dovere offrire questa possibilità ai nostri giovani.*

* Monika Albert è una psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza e una pedagogista specializzata in studi di genere. Questo testo è un estratto dal libro a cura di Alice Schwarzer e Chantal Louis Transsexualität. Was ist eine Frau? Was ist ein Mann? [Transessualità. Cos’è una donna? Cos’è un uomo?], appena uscito in Germania per la Kiepenheuer & Witsch.

(traduzione dal tedesco di Cinzia Sciuto)

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