Le città al centro della lotta allo spreco alimentare

Nel mondo un terzo del cibo prodotto va al macero. Uno sperpero quotidiano che vede l’Italia maglia nera in Europa. Come contrastarlo? Le linee guida di Slow Food e Zero Waste per le amministrazioni cittadine e l’esempio virtuoso del progetto “ReFoodgees – Roma Salvacibo”.

Un terzo della produzione mondiale di cibo va al macero. Sono circa 1,6 miliardi le tonnellate di prodotti che, ogni anno, vengono sprecate. Trilioni di dollari evaporati mentre il cambiamento climatico e il disastro ambientale avanzano indisturbati, sterilizzando porzioni sempre più corpose del pianeta. Lo spreco – alla produzione, alla commercializzazione, alla distribuzione e al consumo – pare essere il sostrato delle economie moderne. Le filiere alimentari “fanno acqua” da tutte le parti: è il coro unanime degli studi e delle analisi di settore riguardo lo stillicidio degli ecosistemi globali. E al di là delle espressioni preconfezionate, i fatti confermano il trend. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) afferma che il 14 per cento del cibo prodotto in tutto il globo “tra il momento della raccolta e quello della vendita al dettaglio” – senza però includere questo passaggio nel monitoraggio – scompare nelle strettoie delle catene di approvvigionamento. Un milione di ettari di terreno coltivabile è utilizzato per produrre ortaggi che non verranno mai mangiati. Una fetta consistente del verde agricolo mondiale. “Le perdite e gli sprechi alimentari concorrono fino al 10 per cento delle emissioni di gas a effetto serra. Risorse preziose come il suolo e l’acqua vengono consumate, sostanzialmente per nulla”, ha detto Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep). Un circolo vizioso quindi, dove l’agricoltura è vittima e artefice dello stravolgimento climatico in corso. Dove tutte le attività umane per la produzione di alimenti sono il motore delle trasformazioni in corso.
Il nostro Paese non è estraneo allo sperpero quotidiano. Anzi.

Secondo i dati del rapporto “Il caso Italia“ – elaborato da Waste Watcher International per iniziativa della campagna Spreco Zero di Last Minute Market dell’Università di Bologna, su monitoraggio Ipsos – i consumatori italiani, nell’ultimo anno, hanno gettato oltre un milione e mezzo di tonnellate di cibo nel cassonetto: l’equivalente organico di 7 miliardi di euro, andati in fumo nel gorgo dei rifiuti. Stime in aumento, avverte lo studio, di circa il 15 per cento rispetto ai 365 giorni precedenti.
Il Centro comune di ricerca (Jcr) della Commissione europea, su richiesta de Il Fatto Quotidiano, ha quantificato in oltre 270 milioni di tonnellate gli alimenti – tra cereali, pesce, frutta, carne, barbabietola da zucchero, verdura, prodotti lattiero-caseari, colture oleaginose – bruciati in Italia tra il 2000 e il 2017. Dalla produzione alla distribuzione. Il tricolore è maglia nera, stando ai…

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro appiattendosi su posizioni monetariste, la sinistra ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.