Cosa c’è di nuovo sul fronte occidentale

Con la globalizzazione finita fuori controllo e la politica ridotta a puro gioco d’azzardo, nel nuovo totalitarismo neoliberale la guerra è diventata talmente consustanziale al capitalismo da trasformarsi in una condizione endemica anche nella civilissima Europa.

La guerra è sempre stata caratterizzata da una forte componente di imprevedibilità. E per un motivo essenziale: l’imprescindibile componente umana, più rilevante di qualunque altro fattore (economico, industriale o tecnologico), come la storia ci ha più volte mostrato. Ma, per dirla in termini colloquiali, un secolo fa era ancora nell’ordine delle cose anche alle nostre latitudini, oggi no. Di qui la sorpresa generata nell’opinione pubblica occidentale dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il senso di crescente e diffusa insicurezza generato dai rischi di un’escalation che coinvolga i membri della Nato o anche soltanto dalle conseguenze economiche del protrarsi del conflitto.

Nei secoli che avevano accompagnato lo sviluppo dello stato moderno e del capitalismo, l’Europa e poi anche gli Stati Uniti erano emersi come “mostruosi plasmatori di storia mondiale”, per usare un’espressione di Fernand Braudel, e la guerra era servita – oltre che come ordinario strumento di conquista e saccheggio delle terre e delle risorse altrui – come momento costituente delle gerarchie internazionali, periodico e perciò epocale spartiacque tra un ciclo egemonico e un altro (dove l’egemonia implicava una leadership tanto politica, quanto economica proprio grazie all’identificazione tra stato e capitalismo). La lunga pace europea, per quanto non certo priva di tensioni lungo il muro di Berlino e, dopo il suo crollo (avvenuto per di più senza alcuno spargimento di sangue), l’idea di essere ormai tutti integrati nello stesso sistema globale ci avevano illusi che fossimo ormai andati oltre le tradizionali dinamiche della politica di potenza.

Quell’illusione non era del tutto infondata, a dire il vero e – come ho già scritto in queste stesse pagine – la guerra di Putin non prefigura un ritorno al passato. Certo, le analogie con quanto stava accadendo proprio un secolo fa, quando il mondo viveva l’interludio tra due guerre mondiali e l’Italia stava entrando nel ventennio fascista sono a dir poco inquietanti. Ma, paradossalmente, il quadro di riferimento era molto più chiaro allora di quanto non lo sia oggi che la riscoperta delle retoriche nazionaliste (persino zariste) va letta come una strategia di marketing diretta a dissimulare la realtà molto più complessa di una globalizzazione finita fuori controllo.

Oggi siamo in effetti vittime di un nuovo totalitarismo neoliberale che, da un lato, presenta una struttura più “leggera”, perché il fulcro non è più lo stato totalitario; dall’altro, fa dell’instabilità una componente sistemica, perché a dettare le regole è il mercato:…

La libertà accademica negata dal fanatismo filo-israeliano tedesco. Intervista a Nancy Fraser

A Nancy Fraser è stato impedito di tenere un ciclo di conferenze all’Università di Colonia. Sebbene il tema designato fosse il lavoro nella società capitalista, alla filosofa è stato proibito di parlare per aver firmato la dichiarazione “Philosophy for Palestine”. Una violazione della libertà accademica frutto di quello che Susan Neiman ha definito il “maccartismo filosemita” della Germania, Paese in cui ormai ogni voce critica nei confronti di Israele viene messa sistematicamente a tacere.

Nuova questione morale: la sinistra e il fantasma di Berlinguer

A sinistra si continua a citare Berlinguer e a sbandierare il tema della questione morale. Ma i recenti fatti che hanno travolto la giunta regionale di Michele Emiliano ci ricordano che nel sistema Italia il marcio è diffuso ovunque, a partire dalle realtà locali. Non si può risanare tutto il sistema politico nel suo complesso ma a sinistra ci si può impegnare partendo da casa propria, cercando di costruire un nuovo autentico soggetto progressista anziché puntare ai “campi larghi”.