Da Turchia a Türkiye: la politica estera di sopravvivenza del regime

Dal cambio del nome al frenetico attivismo internazionale: mentre il Paese affronta la peggiore crisi economica della sua storia, la sopravvivenza del regime è diventata la motivazione più importante della politica estera turca.

Il 2 giugno le Nazioni Unite hanno accolto la richiesta della Turchia di cambiare nome. Anziché “Turchia”, le organizzazioni internazionali dovranno ora utilizzare il termine “Türkiye”, vale a dire il suo nome in turco. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha sottolineato che «Türkiye è la migliore rappresentazione ed espressione della cultura, della civiltà e dei valori del popolo turco». Si tratta di una risposta alle preoccupazioni nativiste di lunga data nella coalizione di governo – tra cui il Partito islamico per la giustizia e lo sviluppo (AKP) e il Partito di estrema destra Movimento Nazionalista (MHP) – secondo le quali la Turchia deve essere più assertiva a livello internazionale e dovrebbe essere accettata alle sue condizioni. La cristallizzazione di questo punto di vista è rappresentata dall’affermazione “World is bigger than 5” (“Il mondo è più grande di 5”, i cinque membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite) e dall’affermazione che la Turchia dovrebbe svolgere un ruolo importante nel ristabilire la giustizia globale.

È improbabile che il rebranding del Paese abbia un grande impatto a livello internazionale, poiché le persone continueranno a farvi riferimento con il proprio idioma. Un precedente tentativo di rebranding interno, la “Nuova Turchia” dell’AKP, che avrebbe dovuto celebrare la fine della Repubblica laica e l’avvento della Turchia come fulgido esempio di modernità islamica, è in gran parte fallito. L’episodio della ridenominazione, tuttavia, ci ricorda chiaramente che, nonostante l’autocratizzazione, la personalizzazione del potere e il declino economico, l’ideologia è ancora importante in Turchia. La questione, che porrò in questo saggio, è quanto conta l’ideologia nelle condizioni di frammentazione dello Stato turco.

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La Turchia è stata in prima pagina negli ultimi tempi, dopo una prolungata interruzione a seguito del tentativo di colpo di Stato ancora irrisolto del luglio 2016, che ha segnato il passaggio da un arretramento democratico alla dittatura personalistica attorno alla presidenza di Recep Tayyip Erdoğan. Un consigliere del presidente una volta ha definito questo periodo «preziosa solitudine», riformulando eufemisticamente l’isolamento autoimposto della Turchia alla fine degli anni 2010. Più recentemente, abbiamo assistito a un turbine di gesti e tentativi di “rilanciare” la Turchia a livello internazionale: grazie a relazioni eccezionalmente buone sia con la Russia sia con l’Ucraina, l’assalto della prima alla seconda ha fornito a Erdoğan le condizioni perfette per tornare sulla scena internazionale come benevolo pacificatore, almeno inizialmente. Dopo mezzo decennio di relazioni estremamente tese con Israele e gli Emirati Arabi Uniti, il presidente israeliano Isaac Herzog ha visitato Ankara nel marzo …

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.