Il WWF, la difesa del pianeta e il nuovo protagonismo giovanile

Con Alessandra Prampolini – direttrice generale del WWF Italia – discutiamo del fermento politico emerso “dal basso” grazie ai nuovi movimenti per l’ambiente e alla mobilitazione giovanile per analizzare come le realtà del terzo settore hanno intercettato le diverse istanze.

La dodicesima intervista della serie “La politica che (non) c’è“ è ad Alessandra Prampolini, direttrice generale del WWF Italia. In questo confronto si parte dal fermento politico emerso “dal basso” grazie ai nuovi movimenti per l’ambiente e alla mobilitazione giovanile per analizzare come le grandi organizzazioni hanno intercettato le diverse istanze. Al centro, la nascita – di fatto – di un nuovo corpo intermedio.

Il WWF e le tante istanze che hanno mobilitato migliaia di giovani intorno al tema ambientale. Partiamo da qui.
Questo è un tema per noi interessantissimo. Personalmente ritengo che la pandemia abbia fatto da acceleratore a un fenomeno iniziato anni prima, a partire dalle prime mobilitazioni su scala globale iniziate con la nascita dei Fridays for future. Parliamo di un movimento di giovanissimi che hanno come obiettivo la difesa del pianeta. Si tratta di un movimento, però, che arriva da lontano, da decenni di attivismo e sensibilizzazione sul tema ambientale a cui siamo fieri di aver contribuito. A nostro avviso questa mobilitazione globale è stata un successo proprio perché nessuno può intitolarsela in toto. Finalmente il pianeta, la salute, le persone non sono più scollegate. È finalmente finita l’era delle singole vertenze.

Immagino che questa nuova mobilitazione globale abbia, in qualche modo, cambiato anche il WWF.

La risposta è nel WWF Young: i ragazzi ci hanno “imposto” una “struttura meno strutturata”. Questo è accaduto però prima dell’avvento del movimento Fridays for future. Avevamo già intuito la necessità di dare ai giovanissimi spazi di movimento non irregimentati nelle classiche liturgie tipiche, ad esempio, dei partiti. L’esplosione del movimento ambientalista giovanile ci ha però costretti – lo dico con soddisfazione – a grandi ragionamenti sullo scenario politico e sulle conseguenti battaglie da portare avanti.

Quali sono le cause di questi cambiamenti?

Principalmente due. La prima: la fase in cui viviamo, contraddistinta da una frattura apparentemente insanabile tra la politica istituzionale e i movimenti. Assistiamo, ormai da tempo, a partiti intenti a rincorrere i giovani senza riuscire in alcun modo a intercettare le loro istanze. Ecco, questo …

A Hebron è in vigore l’oppressione permanente dei palestinesi

Dalle punizioni collettive alle tecniche di sorveglianza e riconoscimento facciale,  passando per le “sterilizzazioni” delle strade dalla presenza palestinese come le chiamano i soldati, ogni “misura temporanea di sicurezza” che istituzioni e coloni israeliani testano su Hebron diventa poi uno strumento d’oppressione permanente imposto sull’intera Cisgiordania. Per usare le parole di Issa Amro, leader della resistenza non violenta nella regione, Hebron è il “laboratorio dell’occupazione”.

“Israelism”, la rivolta dei giovani ebrei negli USA contro l’indottrinamento sionista

Il film di Sam Eilertsen ed Erin Axelman “Israelism”, proiettato recentemente in Italia, racconta il processo di presa di coscienza di una intera generazione di ebrei americani cresciuti fin da bambini in un ambiente di ferreo indottrinamento al culto di Israele e alla propaganda sionista. Finché molti di loro, confrontandosi con la realtà dei palestinesi attraverso viaggi sul posto o nei campus universitari, non capiscono di essere stati spinti ad annullare la loro ebraicità nella fede cieca in un progetto etnonazionalista.

Basta con le Identity politics: non conta se sei oppresso ma se combatti l’oppressione

Nella sinistra postmoderna il discorso sull’oppressione tende a ridursi al punto di vista della vittima. Gli oppressi vengono collocati all’interno di un gruppo indifferenziato la cui unica cifra è l’oppressione stessa. Questo atteggiamento porta ai giudizi ad hominem, poiché non contano tanto le idee ma la posizione in cui si colloca chi le esprime: se non sei un oppresso, non puoi parlare di emancipazione. Se sei un “vecchio uomo bianco”, tenderai sempre e solo a voler mantenere i tuoi privilegi. Le discussioni su chi ha il diritto di parola dovrebbero però lasciare il posto alle discussioni su che cosa ha da dire.