“Tomás Nevinson”, la sofferenza di un secolo

L’ultimo lavoro dello scrittore madrileno Javier Marías è un’opera shakespeariana, una tragedia senza tempo.

«Tomás Nevinson non è propriamente il seguito di Berta Isla, ma con quello forma per così dire una coppia». Così lo scrittore Javier Marías descrive il suo ultimo romanzo, pubblicato in Italia nel febbraio di quest’anno da Einaudi, con la traduzione di Maria Nicola.

Letti insieme i due volumi sono quasi una saga, in cui a farla da protagonista è innanzitutto la coppia. Intorno, fitte e dense, ci sono le piccole storie, trame che lo scrittore spagnolo sa raccontare meglio di chiunque altro.

Quella di Tomás, marito di Berta Isla, è intanto la vita di chi ha più esistenze, per una burla del destino che lo ha portato fin dentro alle segrete stanze dei servizi inglesi. È la storia di chi “cede alla tentazione” e torna ad assumere un incarico di cui credeva di essersi spogliato per sempre: la proposta è di andare in una città spagnola, nel nord-ovest, per snidare una persona colpevole di sanguinosi attentati dell’Ira e dell’Eta. «Ho avuto un’educazione all’antica, e non avrei mai creduto che un giorno mi si potesse ordinare di uccidere una donna».

Le donne sono il centro assoluto del romanzo, e lo sono di gran lunga di più del personaggio principale: Tomás ha il volto di chi sa che dovrà fare i conti con una vita che pensava (sbagliando) di avere archiviato per sempre. Attorno a lui ruotano tutte le altre figure, che compongono, di pagina in pagina, un quadro ricchissimo di sfumature e di contrasti.

Il ritmo è incalzante, le descrizioni a dir poco fotografiche, scatti di vita in cui a trionfare è la bugia travestita da necessità: «Il fatto è che non c’è modo di avere la certezza dell’inganno e della simulazione».

L’autore scava – letteralmente – nelle pieghe dell’anima, dei suoi uomini e delle sue donne, mentre fa dire al protagonista una verità scomodissima: «Meglio essere colui che non esiste, almeno a periodi, e in questo modo preservarsi un po’, dividendo colpe e carichi con l’inesistente». Nel privato, questo modo di preservarsi gli costerà però l’amore e, ancor prima, la stima di Berta.

Il romanzo è tr…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.