Bettin: “Come evitare la catastrofe ecologica”

Nel suo ultimo libro, “I tempi stanno cambiando”, Gianfranco Bettin analizza cause, prospettive e soluzioni sulla fine dell’Antropocene, l’era del massimo impatto umano sul pianeta, sottolineando l’interdipendenza tra crisi climatica, ecologica e sociale. Lo abbiamo intervistato.

Oggi, nel mondo, a ogni secondo che passa si bruciano 250 tonnellate di carbone, 180.000 litri di petrolio e 125.000 metri cubi di gas, che in atmosfera si trasformano in 1.100 tonnellate di CO2. In giro ci sono troppe molecole di CO2, soprattutto. Un atomo di carbonio e due atomi di ossigeno formano una molecola di diossido di carbonio, comunemente detta anidride carbonica, chimicamente CO2. Il carbonio, la base della vita sulla terra. L’ossigeno, che ci fa respirare, che rende possibile la nostra vita basata sul carbonio. L’eccesso di CO2, di questa molecola accumulata nell’atmosfera e prodotta soprattutto dalla combustione di carbone, petrolio e gas, rende più difficile, irrequieta, a volte incandescente, la vita sul pianeta. Abbiamo oggi una mole di dati impressionante e inequivocabile, lo conferma ora anche il Rapporto 2021 dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il principale organismo internazionale di studio dei mutamenti climatici, sulla responsabilità della specie umana sul cambiamento climatico*. Questo è “I tempi stanno cambiando“ (Edizioni E/O), l’ultimo libro di Gianfranco Bettin che analizza cause, prospettive e soluzioni sulla fine dell’Antropocene, l’era del massimo impatto umano sul pianeta. Ed è proprio da questo libro che inizia la tredicesima intervista della serie “La politica che (non) c’è“.

“I tempi stanno cambiando”. Puoi spiegare questo titolo?
Il titolo riprende ovviamente la celebre canzone di Bob Dylan, The Times They Are A-Changin’, buona metafora del nostro tempo multidimensionale. Il tempo storico, quello in cui viviamo; il tempo della quotidianità; e il tempo inteso come “clima”, che a sua volta non va confuso con il “meteo”. I tempi, appunto. Il titolo allude a tutti questi tempi, non solo alla quotidianità, al tempo che fa oggi, ma piuttosto a un tempo storico ormai segnato da eventi estremi prodotti da una tendenza crescente al surriscaldamento della temperatura, eventi che modificano gli ecosistemi, e il clima in generale, chiamandoci a fronteggiare urgentemente mutamenti.

Cambia il clima, cambia il tempo, cambia la storia. Viviamo con diversi gradi di consapevolezza questo cambiamento. C’è chi se ne frega, perché ha il potere di farlo e la convenienza di continuare a consumare fonti fossili, aggravando la situazione climatica. C’è chi pensa che le grandi conquiste tecnico-scientifiche vadano usate non per uscire da questa situazione ma per fare le guerre, per aggravare le disuguaglianze. Ma c’è anche chi ha preso invece atto che “i tempi stanno cambiando” e prova a usare il meglio del sapere, dell’intelligenza, della politica, in questa sfida cruciale.

Il libro allude alla “conversione ecologica”, ma in maniera diversa dal solito, in genere ottimistico, concetto. Perché?
«La conversione ecologica potrà affermarsi se apparirà socialmente desiderabile». «La paura della catastrofe non ha sinora generato questi impulsi». Così diceva Alexander Langer. Molta gente ha paura della catastrofe, certo, ma è difficile rendere davvero l’idea di una…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.