L’ultimo pasto

Ancora oggi nelle carceri statunitensi ai detenuti nel braccio della morte viene offerta la possibilità di scegliere il loro ultimo pasto. Ma è un gesto che restituisce davvero dignità e autodeterminazione al condannato? È davvero un atto di pace o solo un rituale per placare gli animi di chi rimane?

Può turbare la nostra sensibilità ma nella storia l’esecuzione di un condannato a morte è sempre stata preceduta da accurati preparativi. L’obiettivo è sempre stato quello di garantire un’esecuzione dignitosa e allo stesso tempo dissuasiva, che permettesse di provare pietà per il condannato ma impedisse qualsiasi compassione, elevando il boia a emblema del vendicatore rispettoso della legge. Per raggiungere questo scopo è necessaria una drammaturgia vincolante per tutti i partecipanti, in modo da non mettere in discussione la dignità del tribunale e la funzione deterrente della cerimonia di esecuzione.

Di questa drammaturgia fanno parte anche il consenso del condannato ottenuto con la confessione dopo la pronuncia della sentenza e il suo rafforzamento con ogni tipo di favore da parte del tribunale. A questo scopo al condannato viene garantita una sistemazione migliore per gli ultimi giorni di detenzione e gli viene concesso di indossare abiti nuovi, talvolta di sua scelta. Ma soprattutto il condannato riceve cibo migliore e da bere a sufficienza. Perché: “Mangiare e bere bene fanno parte di una esecuzione ben fatta e di una morte cristiana, così come il consenso del condannato, l’abilità del boia e l’assicurazione che il povero peccatore non serbi rancore per nessuno”[1].

Anche l’ultimo pasto ha sempre fatto parte di questa drammaturgia. Viene servito ai condannati prima dell’esecuzione per alleggerire il momento della morte e ribadire ancora una volta il loro consenso all’esecuzione. Si tratta di un vero e proprio ultimo pasto nel senso classico e ha un carattere particolare perché concede al prigioniero una notevole – ultima – libertà. Simboleggia in qualche modo, per un momento, il rovesciamento dei rapporti di dominio, quando al più indifeso degli indifesi, il prigioniero prima della morte, viene dato il potere di determinare egli stesso il menu dell’ultimo pasto. Come a Roma padrone e schiavo, così in molti Paesi Stato e condannato si scambiano per un breve momento i ruoli. L’ultimo pasto simboleggia la pace fatta fra il tribunale, e quindi anche il boia, e il condannato a morte.

Atto di riconciliazione o supplemento alla morte imminente?

L’usanza di concedere l’ultimo pasto ai condannati a morte può essere fatta risalire alla fine…

La libertà accademica negata dal fanatismo filo-israeliano tedesco. Intervista a Nancy Fraser

A Nancy Fraser è stato impedito di tenere un ciclo di conferenze all’Università di Colonia. Sebbene il tema designato fosse il lavoro nella società capitalista, alla filosofa è stato proibito di parlare per aver firmato la dichiarazione “Philosophy for Palestine”. Una violazione della libertà accademica frutto di quello che Susan Neiman ha definito il “maccartismo filosemita” della Germania, Paese in cui ormai ogni voce critica nei confronti di Israele viene messa sistematicamente a tacere.

Nuova questione morale: la sinistra e il fantasma di Berlinguer

A sinistra si continua a citare Berlinguer e a sbandierare il tema della questione morale. Ma i recenti fatti che hanno travolto la giunta regionale di Michele Emiliano ci ricordano che nel sistema Italia il marcio è diffuso ovunque, a partire dalle realtà locali. Non si può risanare tutto il sistema politico nel suo complesso ma a sinistra ci si può impegnare partendo da casa propria, cercando di costruire un nuovo autentico soggetto progressista anziché puntare ai “campi larghi”.