Champollion e l’enigma della stele di Rosetta

Duecento anni fa Jean-François Champollion riuscì a decifrare i geroglifici egizi della stele di Rosetta. Per comprendere la portata e l’originalità della sua pluriennale ricerca – che è all’origine dell’egittologia moderna – ne ripercorriamo le ultime fasi cruciali.

Si dice che le comete siano delle capsule del tempo, capaci di viaggiare per milioni di anni luce serbando nel loro nucleo gassoso composti organici, lunghe catene di idrocarburi e amminoacidi, metalli e frammenti di rocce provenienti da epoche remote dell’universo, quando si formarono le stelle, il Sole e i suoi pianeti. Secondo gli scienziati, raccogliere e decifrare questo materiale permetterà di leggere sempre più chiaramente la storia del nostro sistema solare, dischiudendo alla nostra conoscenza un passato che credevamo inaccessibile, inghiottito da un’impenetrabile oscurità.

È stata questa la missione di Rosetta, la sonda lanciata nel 2004 dall’ESA, European Space Agency, per raggiungere la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko e poter installare sulla sua superficie, nel 2014, il veicolo d’atterraggio Philae incaricato di raccogliere materiali, dati e immagini.
Dopo la sua prima avventura, Rosetta è oggi ancora in viaggio a fianco della cometa, e porta con sé, nello spazio, un piccolo amuleto che ha il suo stesso nome: HD Rosetta, una sottile lastra circolare di nickel progettata per durare migliaia di anni, sulla quale sono incise 6,500 pagine di testo in 1,500 lingue del mondo, alcune delle quali in via d’estinzione. Chi, umano o altro, un giorno troverà quell’oggetto e vorrà imparare a leggerlo, saprà che siamo esistiti e quali segni usavamo per descriverci e comunicare con i nostri simili.

Ma duecento anni fa, quando volare su una stella cometa o costruire indistruttibili hard disk e navicelle spaziali era considerato un sogno eretico o un’oziosa fantasia, qualcuno riuscì a decifrare un documento proveniente da un mondo altrettanto lontano; un messaggio cifrato lanciato nel futuro da una civiltà che, nel suo millenario silenzio, sembrava irraggiungibile. I primi segnali furono pochi balbettii, sillabe, nomi di persona. Infine, un’intera lingua parlata da regnanti, sacerdoti e scriba; e, con essa, una storia in grado di scuotere credenze e sfidare secolari tradizioni.

Nell’Europa moderna, almeno dai tempi del famoso erudita tedesco Athanasius Kircher vissuto nel XVII secolo, l’Egitto era celebrato quanto lo era stato nell’antica Roma, quando, alla fine del I secolo d.C., Gaio Cestio Epulone volle per sé una tomba a forma di piramide (ancora svettante all’inizio di Via Ostiense), e gli imperatori portarono da Eliopoli e da Karnak (o fecero scolpire a imitazione degli originali) tredici obelischi che oggi, spostati a piacimento dai papi, segnalano altrettanti luoghi della capitale. Si credeva che la scrittura geroglifica usata dagli egizi contenesse verità segrete e sbalorditive in grado di dispensare sapienza e poteri magici a chi fosse in grado di padroneggiarla; ma in realtà la conoscenza di quella civiltà e della lingua era ancora estremamente superficiale, frammentaria, filtrata da favole e pregiudizi. Sebbene l’ultima iscrizione in geroglifico sia stata incisa sulla porta di Adriano, a Philae, un anno prima della caduta dell’impero romano occidentale nel 395 d.C., già ne…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.