New Breeding Techniques (NBT) e agroecologia: due modelli a confronto

Le nuove tecniche di editing genomico delle piante sono ancora sperimentali e presentano molti punti oscuri. Per risolvere le gravi crisi di oggi è necessario scegliere un modello di agricoltura capace di ristabilire l’equilibrio ecologico distrutto dall’attuale modello industriale.

Agricoltura industriale e crisi globali

L’attuale modello industriale, imposto in agricoltura con la Rivoluzione Verde degli anni Sessanta, persegue il suo scopo primario – l’aumento illimitato della produttività – tramite l’uso intensivo della monocoltura e di input industriali: meccanizzazione, uso massiccio di fertilizzanti, pesticidi e sementi proprietarie. Negli ultimi due decenni, a questi strumenti si sono aggiunte tecnologie mediate da superelaboratori e biotecnologie per la modificazione genetica. In parallelo, il processo di Globalizzazione ha inserito prepotentemente l’agricoltura nel mercato globale delle commodities; ciò continua a erodere il ruolo essenziale che l’agricoltura ha per ogni popolazione: quello di fonte primaria di sussistenza, fondamento della sovranità alimentare.

Gli effetti di oltre 50 anni d’intensificazione del modello industriale sono oggi fin troppo evidenti nelle crisi planetarie che stiamo vivendo: riscaldamento globale da emissioni antropiche di gas serra, inquinamento di acque e suoli, perdita di fertilità dei suoli, grave declino della biodiversità in tutti gli ecosistemi, disuguaglianze e ingiustizia sociale crescenti.

Come denunciano Organismi internazionali collegati all’ONU – quali l’IPCC per lo studio del cambiamento climatico e l’IPBES per il monitoraggio della biodiversità – questo modello di produzione del cibo umano, con il suo corollario di deforestazione e inquinamento, è responsabile del 33% delle emissioni climalteranti (quota che arriverà al 50% nel 2050, se non si invertono le attuali tendenze) ed è la causa principale dell’estinzione in massa di specie animali e vegetali. In altre parole, stiamo perdendo la ricchezza genetica del pianeta. Inoltre, l’IPBES denuncia nel suo ultimo rapporto (1 IPBES, 2019) che più del 33% della superficie terrestre e quasi il 75% delle risorse idriche sono oggi impegnati nella produzione di colture food e non-food o nell’allevamento animale.

Le crisi attuali sono strettamente intrecciate. I cambiamenti climatici influenzano tutte le interazioni tra le piante, i parassiti e i loro nemici naturali (2 Heeb et al., 2019) con notevoli effetti sull’agricoltura. Per esempio, l’innalzamento della temperatura causa l’aumento del tasso metabolico degli insetti, che devono consumare più cibo. Si stima che ciò causerà una diminuzione del 10-25% nella produttività di riso, mais e grano per ogni grado di aumento della temperatura globale (3 Deutsch et al., 2018). L’uniformità genetica rende le varietà industriali più vulnerabili a parassiti, malattie e stress abiotici. Tale vulnerabilità è purtroppo destinata ad aggravare gli effetti negativi del riscaldamento globale a breve e a lungo termine (4 Keneni et al., 2012).

Quindi, per dare soluzione alle gravi crisi di oggi, è di cruciale importanza scegliere un modello di agricoltura capace di ristabilire l’equilibrio ecologico distrutto dall’attuale modello industriale.

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro, la sinistra si è appiattita su posizioni monetariste e ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.