Nei primi sei mesi del 2022, quarto anno di presidenza di Andrés Manuel López Obrador, in Messico si sono registrati 331 attacchi contro giornalisti, in media uno ogni 14 ore, più o meno due al giorno. Un numero che paragonato al 2016, quando alla guida del Paese al suo quarto anno di presidenza c’era Enrique Peña Nieto, è in netto aumento: allora erano stati “solo” 218. Numeri preoccupanti quelli raccolti dalla ong Artículo 19 (organizzazione indipendente per i diritti umani che opera in tutto il mondo per promuovere il diritto alla libertà di espressione e che prende il nome dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che garantisce la libertà di espressione). Tanto più considerato che l’attuale presidente è stato eletto sull’onda dello sdegno per le politiche, violente e repressive, del suo predecessore e che tra i punti centrali del suo programma c’era anche una maggiore tutela della libertà di espressione nel Paese.
Un tale numero di atti violenti contro la stampa, ovviamente, ha determinato anche un’impennata degli omicidi: ben 12 tra gennaio e oggi, a fronte dei sette avvenuti nei 12 mesi del 2021. Sotto il governo Obrador i giornalisti uccisi sono stati, a oggi, 36; un numero che mette “a rischio” il triste record detenuto dal suo predecessore (47) considerando che mancano ancora quasi due anni alla fine del mandato del leader di Morena (Movimiento Regeneración Nacional) e che è proprio “lo Stato” a essere il principale aggressore contro la stampa (dato che si conferma ormai dal 2007): ben 128 attacchi contro giornalisti, pari al 38% del totale, sono infatti da imputarsi genericamente allo Stato. In quello che è conosciuto come “il Paese del narcotraffico”, quindi, non è la criminalità il primo fattore di rischio per i giornalisti, bensì l’autorità pubblica: di questi 128 attacchi, 75 sono quelli che sono stati messi in atto da funzionari pubblici e 53 da agenti delle forze di sicur…