Guerra, energia, price cap, inflazione e aumento dei tassi: l’Unione Europea a pezzi?

Dal braccio di ferro sul prezzo del gas alla lotta all’inflazione, nel nuovo contesto di “economia di guerra” l’UE è in alto mare, divisa e senza leadership. E con la Nato a guida americana a trainare di fatto la politica europea.

L’Unione Europea è divisa, confusa e in alto mare anche su una questione assolutamente centrale per la sua stessa sopravvivenza, come le forniture e il prezzo del gas. La UE è completamente impreparata rispetto al nuovo contesto di “economia di guerra” introdotto dall’aggressione russa all’Ucraina e ai ricatti di Putin all’Europa. Anche la Banca Centrale Europea getta benzina sul fuoco alzando i tassi d’interesse, ovvero il costo del debito, mentre si annuncia la recessione economica! Partiamo dalla realtà dei fatti. Dopo quasi otto mesi dallo scoppio della guerra in Ucraina, nel Consiglio Europeo del 6 e 7 ottobre tenuto a Praga, quindici paesi europei, tra i quali Italia, Francia, Spagna, Belgio hanno chiesto alla UE di imporre finalmente un price cap al prezzo del gas, cresciuto del 600% circa: ma il governo tedesco guidato dal socialista Olaf Scholz (supportato dall’Olanda, dall’Estonia, dal Lussemburgo e dall’Austria) ha rifiutato l’accordo contro la speculazione delle grandi multinazionali sul gas. C’è il niet deciso e formale di Germania e Olanda. Perfino il premier italiano Mario Draghi – che certamente non può essere tacciato di anti-europeismo – ha perso la pazienza: «Stiamo discutendo di gas da sette mesi. Abbiamo speso decine di miliardi dei contribuenti europei, serviti a foraggiare la guerra di Mosca e non abbiamo ancora risolto nulla. Se non avessimo perso così tanto tempo ora non ci troveremmo sull’orlo della recessione»[1]. È come se l’Unione Europea andasse avanti solo perché nessuno ha convenienza a romperla e perché tutti i governi cercano di usarla per i propri scopi. Una Unione che di fronte ai grandi appuntamenti della Storia fa tre passi indietro e mezzo avanti. «Una soluzione potrebbe essere che l’Europa compri l’energia per tutti, faccia da acquirente unico come successe per i vaccini” – propone Franco Bernabé, ex presidente dell’ENI – “ma non vedo una gran disponibilità ad andare in questa direzione»[2].

Il braccio di ferro sull’energia continua e l’esito è ancora incerto. La Commissione ha promesso che presenterà al Consiglio del 20-21 ottobre una sua proposta, peraltro ancora tutta da definire. Senza un accordo realmente efficace – come quello proposto da Italia e Francia con la creazione di un fondo europeo finanziato dall’emissione di debito comune[3] – le bollette continueranno a crescere, i Paesi europei continueranno a svenarsi in competizione tra loro, e le multinazionali dell’energia e della finanza continueranno a fare extra profitti. L’intesa dovrebbe tra l’altro prevedere una riforma del mercato europeo dell’energia di Amsterdam basato su aste in cui addirittura vince… chi fa il prezzo più alto! Il prezzo più alto è quello del gas che vale poi per tutte le altre fonti energetiche! Una cosa pazzesca che fa salire alle stelle i fatturati di tutti i produttori di energia!!!

In realtà in questa “Europa sovrana” (?) tutti i Paesi dipendono dagli e…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.