Come Gaza e la Cisgiordania sono state trasformate nella prigione più grande del mondo

Un documentatissimo saggio dello storico israeliano Ilan Pappè ricostruisce l’edificio politico, amministrativo e militare alla base dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza, sfrondandolo dai falsi miti e dagli inganni che nascondono un vero e proprio regime di apartheid nei confronti dei palestinesi.

Questo libro è dedicato a coloro che hanno incessantemente cercato di riportare l’attenzione delle persone oneste sull’importanza di non rimanere ferme a guardare mentre milioni di individui vengono trattati in maniera tanto inumana e disumanizzante, solo perché non sono ebrei”.

Nel libro “La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati” (Fazi Editore, 2022) il noto storico israeliano Ilan Pappè, con il metodo scientifico che nasce dall’esame approfondito di una vastissima documentazione e con la passione di una persona profondamente emozionata per le sofferenze umane, ci presenta un quadro storico accurato che ricostruisce l’edificio politico, amministrativo e militare sul quale si fonda l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza, sfrondandolo da tutti i falsi miti, i veli, gli inganni e le illusioni che nascondono la natura di una politica brutale di annessione di fatto dei territori occupati a seguito della guerra del 1967, che ha trasformato la Cisgiordania e Gaza nella più grande prigione del mondo.

L’autore ci porta dentro questa grande prigione e ce ne spiega le diverse versioni messe in opera, da quella più liberale della semiautonomia della popolazione autoctona a quella della prigione di massima sicurezza, applicata per stroncare qualsiasi forma di resistenza.

La forza di questa ricostruzione risiede nell’individuazione delle radici di questo progetto, le cui fondamenta sono state poste oltre cinquant’anni fa nelle settimane che hanno preceduto e accompagnato la guerra dei sei giorni.

Le scelte fondamentali messe a fuoco in quei giorni cruciali, ma già programmate nell’estate del 1963, hanno posto dei binari, dai quali la politica israeliana non si è mai discostata, pur nell’alternanza di governi diversi, che rendono ragione dell’illusorietà e del fallimento di ogni processo di pace, ivi compreso il processo iniziato a Oslo nel 1992 e conclusosi a Camp Derby nel 2000.

La sensibilità umana di Ilan Pappè si rileva già dalla dedica: Ai bambini palestinesi, uccisi, feriti e traumatizzati dal vivere nella più grande prigione del mondo. Quello che rende speciale questo libro è la capacità della simultanea lettura della documentazione storica e delle conseguenze pratiche sulla vita vissuta. Le vicende storiche sono indagate con la neutralità della ricerca scientifica ma anche con la saggezza di chi sa riconoscere l’umanità dell’altro e la pienezza dei suoi diritti.

Attraverso l’esame dei verbali del Consiglio dei Ministri e degli altri organi di vertice dello Stat…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.