Il fascismo nacque dalla violenza

Il discorso con cui Mussolini rivendicò l’assassinio di Matteotti e il linciaggio di Anteo Zamboni, il ragazzino che provò a uccidere Mussolini, sono i due momenti che segnano la svolta del fascismo verso la dittatura. Pubblichiamo un estratto dal libro “L’antifascismo non serve a niente” di Carlo Greppi (Laterza, 2020).

Gli storici dibattono da decenni su come lo shock generazionale della Grande Guerra abbia contribuito a ridefinire la politica del Novecento, ma è certo che il carico di morte e violenza portato dal primo conflitto mondiale non cadde nel vuoto, anzi: in Italia, paese che si rivelò così un vero e proprio laboratorio politico, questo trauma venne capitalizzato dai nascenti Fasci di combattimento guidati dall’ex socialista Benito Mussolini. Se da un lato, soprattutto tra i reduci più giovani, si notò presto una diffusa incapacità di riadattarsi al tempo di pace dopo aver visto la morte di massa, dall’altro nuove formazioni politiche iniziarono a costruire e a sfruttare il «mito dei caduti», inaugurando un pericoloso culto del valore, del rischio della vita e della necessità di un estremo sacrificio per la Patria (naturalmente con la maiuscola). Formazioni politiche come appunto il fascismo, le quali emersero così in un clima di violenza (che riguardava tutti, anche i loro avversari), e nacquero con la violenza, per la violenza, adulando la violenza, intendendola come un valore e non (solo) come uno strumento.

Organizzato in «squadre» paramilitari, il movimento fascista mise a ferro e fuoco l’Italia per mesi, smorzando i suoi programmi più radicali di derivazione socialista e ottenendo per questo l’appoggio decisivo di industriali e proprietari terrieri (l’Italia era ancora un paese prevalentemente contadino) e godendo dell’«idilliaco consenso» della forza pubblica (1). Inoltre, come ha scritto Federico Chabod, proprio nel momento in cui «il pericolo reale andava dileguandosi, la paura e il timore della rivoluzione divennero, in una larga parte della borghesia italiana, sempre maggiori. Sappiamo bene come, scampati a un pericolo fisico, ci accada talvolta di essere colti dalla paura nell’istante in cui, volgendoci indietro, ci accorgiamo delle difficoltà appena superate. La paura può anche essere retrospettiva» (2). E fu così che la borghesia assecondò e finanziò in maniera consistente questa inverosimile e piuttosto rapida ascesa da partitucolo di violenti borderline (si direbbe oggi) a partito «della nazione…

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro, la sinistra si è appiattita su posizioni monetariste e ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.