La resistibile marcia su Roma e gli ammonimenti della storia

Dal tradimento perpetrato da ciò che rimaneva dello Stato (sedicente) liberale agli errori strategici e tattici del partito socialista, fino alla fatale superficialità del mondo culturale antifascista. Perché i gruppi dirigenti italiani non compresero la portata eversiva della minaccia fascista e non attrezzarono un tempestivo programma di contromisure?

In uno dei romanzi più famosi di Gabriel Garcìa Márquez, “Cent’anni di solitudine”, i personaggi inseguono mete, che, alla fine, si rivelano fugaci. Accade perché Márquez ci invita ad amare appassionatamente le nostre radici, a coltivare la memoria collettiva e a riconoscersi nella nostra storia. Al pari dei grandi classici, il suo afflato comunicativo ci consegna una formidabile lezione di humanitas, insieme con l’invito ad accettarla.

Epperò, riconoscersi nella propria storia non significa assumerla passivamente o, addirittura, esaltarne la tragicità. Se la storia non può insegnare che cosa fare, può tuttavia ammonirci su quello che non dobbiamo fare.

Nell’interpretazione critica della storia delle generazioni colombiane della seconda metà dell’Ottocento, la narrazione di Márquez attinge dalla storia effettuale il senso dell’umana tragedia, la consapevolezza, ossia, di quelle generazioni di comprendere l’incapacità di evolversi.

Molti eventi, realisticamente rappresentati e magicamente trasfigurati, risentono dell’influenza delle guerre civili colombiane della seconda metà dell’Ottocento. Noi, oggi, nel centenario della “marcia su Roma”, possiamo, dobbiamo sperare che quella fase della nostra Storia e (in)cultura sia tramontata per sempre. Senza, tuttavia, commettere l’errore di ignorare le avvertenze critiche di quanti, come lo storico George Mosse, sostengono che i totalitarismi non sono (soltanto) un problema del passato, bensì anche un problema del futuro. Basta guardarsi intorno, senza andare troppo lontano.

Nello stesso tempo, l’auspicio è che, fedeli discepoli del principio crociano di “contemporaneità di tutta la Storia”, pensiamo e agiamo in modo che quel passato, passando, rimanga vivo e presente nella nostra coscienza e memoria collettiva. 

Nel contesto della drammatica congiuntura del dopoguerra, nel mese di luglio del 1922, tre mesi prima della marcia, alla Camera dei deputati, mentre lo squadrismo fascista imperversava pressoché indisturbato, Benito Mussolini sfidava apertamente le istituzioni del governo pubblico, minacciando una “reazione energica e inflessibile” nell’eventualità di una “soluzione antifascista” della crisi politica. Il mese successivo, intervistato dal Mattino, l’affondo: “La marcia su Roma è in atto. Non si tratta della marcia delle cento o trecentomila Camicie nere, inquadrate formidabilmente nel Fascismo. Questa marcia è strategicamente possibile e… totalmente in nostro assoluto potere. Ma non è ancora politicamente inevitabile…

La libertà accademica negata dal fanatismo filo-israeliano tedesco. Intervista a Nancy Fraser

A Nancy Fraser è stato impedito di tenere un ciclo di conferenze all’Università di Colonia. Sebbene il tema designato fosse il lavoro nella società capitalista, alla filosofa è stato proibito di parlare per aver firmato la dichiarazione “Philosophy for Palestine”. Una violazione della libertà accademica frutto di quello che Susan Neiman ha definito il “maccartismo filosemita” della Germania, Paese in cui ormai ogni voce critica nei confronti di Israele viene messa sistematicamente a tacere.

Nuova questione morale: la sinistra e il fantasma di Berlinguer

A sinistra si continua a citare Berlinguer e a sbandierare il tema della questione morale. Ma i recenti fatti che hanno travolto la giunta regionale di Michele Emiliano ci ricordano che nel sistema Italia il marcio è diffuso ovunque, a partire dalle realtà locali. Non si può risanare tutto il sistema politico nel suo complesso ma a sinistra ci si può impegnare partendo da casa propria, cercando di costruire un nuovo autentico soggetto progressista anziché puntare ai “campi larghi”.