Il ritorno di Lula: il Brasile volta pagina

Lula torna alla presidenza per la terza volta. Ma la sua strada è in salita. Con un Congresso a maggioranza bolsonarista e un Brasile diventato più conservatore, diseguale e diviso, la realizzazione di un programma socialista è impensabile: la sfida è la ri-democratizzazione del Paese.

Non ha mai smesso di crederci. Anche nei momenti più bui del suo lungo calvario giudiziario, Lula non ha vacillato: la verità, ne era convinto, avrebbe avuto la meglio, lui non sarebbe morto marchiato come un ladro e, se fosse uscito dal carcere, sarebbe tornato a governare il Brasile. «A partire da ora – aveva dichiarato quando, nel marzo del 2016, era stato condotto negli uffici della polizia federale all’aeroporto di Congonhas per un interrogatorio – se mi arrestano diventerò un eroe. Se mi uccidono diventerò un martire. Se mi lasciano libero diventerò di nuovo presidente».

E così è stato, dopo le umiliazioni sofferte, l’arresto, i 19 mesi di carcere a Curitiba, l’addio al sogno di ricandidarsi nel 2018. E dopo l’annullamento dei processi a suo carico, il riconoscimento da parte della Corte Suprema della parzialità del suo persecutore, l’ex giudice simbolo della lotta alla corruzione – e oggi senatore – Sergio Moro, idolatrato da un’opinione pubblica avvelenata dalla propaganda anti-Pt e cieca di fronte al progetto di potere dell’inchiesta Lava Jato, con tutte le sue aberrazioni giuridiche (dal celebre «non abbiamo prove, ma abbiamo convinzioni» alla condanna dell’ex presidente «per atti indeterminati»).

Lula torna alla presidenza, per la terza volta – l’unico a riuscire in questa impresa –, e ci torna, assicurano quanti lo conoscono bene, dopo aver imparato molto. Jessé Souza, uno dei uno dei più grandi sociologi brasiliani viventi – autore, tra molte altre opere, del celebre libro A elite do atraso, sul patto dei detentori del potere per perpetuare una società forgiata sulla schiavitù – sottolinea come Lula abbia capito di dover essere più accorto con le élite, di non potersi fidare più, e di dover prendere sul serio la questione ambientale, uno dei maggiori punti deboli dei suoi due mandati precedenti, tra il 2002 e il 2010.

Che l’ambiente assumerà un peso superiore rispetto al passato sembra confermarlo anche la riconciliazione storica con Marina Silva, ministra dell’Ambiente dal 2003 al 2008, quando uscì dal governo Lula proprio a causa del suo analfabetismo ecologico e presentatasi poi come candidata presidenziale, in netta polemica con il Pt, alle elezioni del 2010 e del 2014, entrambe vinte da Dilma Rousseff. Una riconciliazione, personale e programmatica, annunciata già a settembre, con la presentazione da parte di Marina Silva di una serie di proposte che saranno incluse nel programma di Lula, tra cui l’immediato rilancio del piano di prevenzione alla deforestazione dell’Amazzonia e la sua estensione agli altri biomi del Paese, la creazione di un’autorità nazionale per la lotta al cambiamento climatico, la ripresa del processo di demarcazione delle terre indigene.

E di certo il leader del Pt ha promesso una «lotta implacabile alla deforestazione illegale», recuperando quelle strategie che, in passato, avevano condot…

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro, la sinistra si è appiattita su posizioni monetariste e ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.