Proust e la terapia della “Recherche”

A cent’anni dalla morte di Marcel Proust, in un’epoca dominata dall’immediatezza e dall’accelerazione, per noi lettori frettolosi è terapeutico immergersi nella lettura dei sette volumi di un capolavoro così impegnativo e raffinato come “Alla ricerca del tempo perduto”, un’opera in grado di esplorare ogni singola e più recondita piega dell’animo umano.

Costi quel che costi

Esattamente 100 anni fa, il 18 novembre del 1922, nel suo appartamento parigino di rue Hamelin moriva Marcel Proust. Aveva rifiutato visite mediche e ospedalizzazione, quando alla sua asma divenuta ormai cronica si era aggiunta anche una bronchite e una congestione polmonare. Le aveva rifiutate perché, per lui, non era più possibile fare altrimenti.

Dopo anni di lavoro, nonostante le condizioni critiche, bisognava assolutamente continuare ad assegnare con determinazione una priorità pressoché assoluta alla più completa esplicitazione delle ragioni di una vita. Portando così a termine un’opera monumentale (i sette volumi della Recherche contano più di 3000 pagine) in cui l’esistenza avrebbe finalmente potuto venire a capo di sé, cercando di comprendere penetrare e rivivere nell’arte della scrittura tutto quel che era possibile ricordare. Salvando così il tempo dal suo oblio. Un ultimo immane sforzo per riannodare quei fili che nel corso del tempo – grazie alla potenza involontaria della memoria, a una sensibilità emozionale acutissima, a una intelligenza auscultatoria del tutto fuori del comune (con il suo occhio poligonale), sorretti da una scrittura superba, educata ai più grandi maestri – sarebbero in fine riusciti ad assegnare un senso e una profondità temporale a ciò che si è stati e a ciò che è stato possibile vivere, al di là della dispersione, della casualità, della discontinuità propri di ogni vissuto. Ma soprattutto: al di là dell’oblio che inesorabilmente divora tutto.

Il mese precedente e parte di quello successivo, incurante dell’aggravarsi della situazione clinica, Proust si dedica a questo compito anima e corpo, inflessibilmente, riuscendo così a portare a termine uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi.

Solo ora poter anche morire

Dopodiché, stando alle parole della devota Céleste, governante e segretaria al contempo, anche la morte sarebbe stata libera di concludere il suo lavoro. Una volta posta la parola “fine” sul manoscritto, dopo averla chiamata nella sua stanza, pare le avesse detto: “ora finalmente posso morire”. È quanto accadde, infatti, di lì a poco. Perché solo “ora”? Perché “ora” il tempo aveva rivelato i suoi arcani, la sua “sostanza invisibile”, e quindi poteva anche dirsi concluso, con la pace di chi è riuscito a condurre in porto la sua “ricerca”. Il titolo dell’opera (À la recherche du temps perdu) non poteva essere scelto meglio, se è vero che è sempre e solo come ricerca, paziente e infaticabile, che il lavoro su di sé intravede (non dico realizza) la possibilità di introdurre il sé al tempo della sua sempre incerta verità. La intravede e, come in questo caso, la persegue tenacemente, costi quel che costi.

L’opera di Prost è un…

Orlando Figes e la copertina di Storia della Russia

Orlando Figes: “La società russa non coincide né con i miti di Putin, né con gli schemi dell’intelligencija liberale”

“Storia della Russia. Mito e potere da Vladimir II a Vladimir Putin” di Orlando Figes racconta in che modo la propaganda e il regime di Stato riscrivono la storia della Russia in base ai miti del potere, presentandola in questo modo sia ai russi, sia al mondo esterno. Ma la società russa, spiega lo studioso in questa intervista, non coincide con lo Stato né con la sua propaganda. E però, come dimostrano il protagonismo contadino durante i secoli e l’esperienza rivoluzionaria del 1917, nella sua autodeterminazione democratica non coincide neanche con il modello liberale e occidentalista auspicato dall’intelligencija, la quale a sua volta sconta uno scollamento sempre più forte dalla società.

Gli (infruttuosi) tentativi vaticani di contrastare l’ateismo

Fra i nemici principali della Chiesa cattolica c’è certamente l’ateismo, che i diversi papi – da Pio XII fino a Francesco – hanno cercato di combattere con strade diverse: facendo leva sui Paesi fuori dall’Europa, identificando nel comunismo ateo il male o tentando la strada del dialogo come nel caso del Cortile dei Gentili del cardinale Ravasi. Ma le strategie si sono rivelate tutte inefficaci.

Governo Sánchez in Spagna. Sánchez e Iglesias alla Moncloa

In Spagna si gioca il futuro della sinistra europea

Nonostante anni molto complicati, fra crisi pandemica e guerra, il governo Sánchez in Spagna, sostenuto esclusivamente da forze di sinistra, ha dimostrato che è possibile realizzare politiche progressiste, a vantaggio delle fasce più deboli della popolazione. Un bilancio.