Da Svante Pääbo alla paleoantropologia: le tracce della nostra storia

Le pionieristiche ricerche genetiche del premio Nobel Svante Pääbo dialogano con gli studi di paleoantropologia dando vita a una scienza delle origini, grazie alla quale oggi conosciamo aspetti straordinari della nostra storia e di noi stessi.

Una scommessa da Nobel
È dell’ottobre scorso la notizia dell’assegnazione del Nobel per la Medicina o la Fisiologia 2022 a Svante Pääbo “per le sue scoperte sul genoma di ominini estinti e sull’evoluzione umana” (MicroMega ne ha parlato qui). Genetista svedese e mancato egittologo – aveva studiato, per un periodo, egittologia all’università di Uppsala – Pääbo è oggi conosciuto come il padre della “paleogenomica”, la disciplina che si occupa dell’estrazione, della ricostruzione e dell’analisi del DNA antico dai fossili di umanità passate.

Se oggi abbiamo a disposizione migliaia di genomi umani antichi (di diversa risoluzione) e possiamo frugare nelle sequenze nucleotidiche di antenati H. sapiens o di specie ominine estinte per ricostruirne l’evoluzione – praticamente “in diretta”, attraverso un continuum di DNA nel tempo e nello spazio – è grazie alla scommessa di un dottorando. Pääbo, impegnato verso fine degli anni ‘80 in un dottorato su tutt’altri temi (conduceva ricerche sugli adenovirus e la loro capacità di evadere le difese immunitarie), di nascosto dal suo supervisore che non avrebbe approvato l’iniziativa, iniziò a cercare di estrarre DNA da una mummia egizia. E ci riuscì, pubblicandone i risultati nel 1985 in un articolo a firma singola su Nature.

Quei primi tentativi furono essenziali per capire che isolare il DNA antico – degradato e spesso contaminato da operatori umani, batteri o funghi – rappresentava una sfida tecnologica enorme. Questo portò a un’altra idea altrettanto folle per l’arretratezza tecnologica del tempo: decifrare il genoma della specie umana estinta più iconica tra tutte, il Neanderthal. Quello che ne seguì è ormai storia.

Dopo aver estratto frammenti di DNA mitocondriale dall’olotipo[1] della specie rinvenuto nel 1856 nella valle di Neander (Germania) – le analisi fecero la famosa copertina di Cell nel 1997 – nel 2008 Pääbo e i suoi collaboratori ne ricostruirono il genoma mitocondriale[2] completo, che sembrava escludere possibili ibridazioni tra H. sapiens e Neanderthal. Nel

Nonostante Platone, Adriana Cavarero smaschera l’ordine patriarcale

Adriana Cavarero ha dedicato la sua esistenza a decodificare il linguaggio della rappresentazione, non solo per il piacere necessario della decostruzione, quanto anche e soprattutto per proporre un nuovo pensiero del femminile, “un immaginario di speranza” che, dall’analisi del passato e dalla critica del presente, lanci lo sguardo verso il futuro, un futuro che indichi rapporti nuovi e diversi.

Fosse Ardeatine, 80 anni dall’eccidio. Intervista a Michela Ponzani

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L’accordo fra Unione Europea ed Egitto è già un fallimento

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