La Cina di Xi Jinping: in rotta con la società e con il resto del mondo

Il Covid-19, spiega lo studioso sinologo Orville Schell in questa intervista esclusiva a Irena Grudzińska Gross, ha permesso a Xi Jinping di sviluppare un sistema di sorveglianza mai visto prima nella storia. Questo nuovo meccanismo di controllo statale sopravviverà alla pandemia. Ma così facendo Xi si è davvero inimicato la società.

Quello che è successo in Cina durante l’ultimo fine settimana di novembre sembra una cosa senza precedenti.

Sì, lo è. È una situazione senza precedenti, quasi inimmaginabile per chi segue la Cina. Durante i tanti anni di leadership centralizzata di Xi Jinping e il suo successo nel rilanciare l’apparato del Partito Comunista Cinese come forza e rete onnipervasiva in tutta la Cina, qualsiasi tipo di dissenso è stato soffocato. La paura di Xi per il Covid ha portato alla sua politica “zero Covid” e all’ulteriore stretta dei controlli nella società cinese. Città, fabbriche e villaggi sono stati chiusi al minimo segno di infezione. Oggi però le proteste sono rivolte non solo contro questi controlli draconiani legati alla pandemia, ma stanno assumendo una dimensione politica!

La paura del Covid era reale o è stata più un pretesto per aumentare ulteriormente il controllo sulla società?

Xi Jinping è una figura un po’ anomala e sorprendente come leader cinese. Suo padre e la sua famiglia sono stati perseguitati durante la Rivoluzione culturale e lui stesso fu mandato via per sette anni in una zona molto povera del Paese. Nonostante ciò, Xi si è abbeverato alla stessa fonte politica di Mao Zedong. È stato durante gli anni della formazione, quando la rivoluzione di Mao era al suo apice, che ha acquisito il kit di strumenti che ha usato poi negli ultimi periodi della sua vita, come leader provinciale prima e come leader supremo della Cina poi. A differenza di molti altri leader che hanno trascorso un periodo all’estero – in Russia, in Europa o altrove – Xi, come Mao, non ha mai lasciato la Cina per un periodo di tempo significativo. È stato durante la Rivoluzione culturale che ha imparato a sopravvivere nel mondo maoista, a lottare e vincere. Xi è cresciuto durante la rivoluzione di Mao. Il maoismo era il suo pane quotidiano.

E ora, dopo tutti i decenni di riforme e di apertura sotto Deng Xiaoping e altri, proprio quando tutti nel mondo speravano che la Cina avrebbe continuato a integrarsi in modo sempre più organico nell’ambito dei beni comuni globali, Xi Jinping la riporta indietro. È come se fosse all’improvviso ricomparso un gene recessivo che pensavamo fosse stato eliminato dal genoma politico cinese. Xi vede la Cina in una relazione politica fondamentalmente ostile con gli Stati Uniti e “l’Occidente” tutto, ed è intenzionato a isolare nuovamente la Cina, riportandola a uno stato di autarchia maoista. Ci eravamo convinti che il Paese fosse riuscito a entrare nel patto globale, ma Xi la pensava diversamente.

E quando è arrivata la pandemia…

All’inizio sembrava che la strategia di lotta alla pandemia di Xi stesse avendo successo. Per un certo periodo, con la sua politica “zero covid”, sembrava addirittura che stesse facendo meglio dell’“Occidente”. E l’economia cinese …

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.