Calcio, mistero senza fine bello
Gianni Brera
Era uno di quelli che si credono superiori perché sostengono che
il calcio consiste in ventidue imbecilli che corrono dietro una palla
Osvaldo Soriano
All’inizio degli anni Settanta il più moderno e il più innovativo quotidiano nazionale era il Giorno, voluto da Enrico Mattei e diretto da Italo Pietra. Un giornale di grandi firme tra cui, per la pagina sportiva, spiccava quella di Gianni Brera; o Gioann Brera fu Carlo, come si firmava nei suoi editoriali calcistici e nella rubrica di corrispondenze con i lettori (l’Arcimatto) tenuta sul settimanale Guerin Sportivo.
Il vero padre nobile del settore, seguito da un codazzo di giovani cortigiani in carriera che affollavano le sue mitiche tavolate pantagrueliche; in cui veniva costruendosi la tipologia popolaresca e la retorica vernacolare del cronista di quei tempi affamati di sport; l’ultima epopea: battutista più che fedele cronista dei fatti, gran mangiatore e bevitore (specie se al seguito del tour de France), popolaresco nelle scelte in materia di intrattenimento; ostentate, in particolare, praticando un gioco di carte d’altri tempi, ancora in uso nella provincia lombardo-veneta: il ciapa no (una variante del tresette).
Il Brera pavese di San Zenone al Po, dominava la scena di allora avendo come unico contraltare il pari grado al Corriere della Sera Gino Palumbo – salernitano di Cava de’ Tirreni – con cui si andava a riproporre la gag scontata e già allora stucchevole della rissa tra terroni e polentoni. Sebbene le cronache narrino episodi in cui i due venivano effettivamente alle mani; magari proprio nel sancta santorum pallonaro della tribuna di San Siro. Una patetica singolar tenzone tra attempati panzoni come ordalia medievale da pupi siciliani.
Confesso che già da ragazzino (e famelico lettore de il Giorno, Giorgio Bocca in particolare) non ero incantato dalla gigioneria breriana. Un giudizio che, in un’uggiosa giornata milanese del 1971, mi venne confermato niente meno che dalla vox populi; fornendomi il punto di vista per mettere a fuoco quanto non mi convinceva in quel monumento della carta stampata.
Studente lavoratore, mi trovavo nei fondi della tipografia che…