Gianni Brera, giornalista-star dello Strapaese

A trent’anni dalla morte del celebre giornalista sportivo, rimane in eredità di lui una certa visione reazionaria del calcio. Derivante da una genetica da bar sport, che sconfina in una sorta di razzismo all’incontrario: la presunta inferiorità ereditaria della gente italica, da virare a strategia vincente sul campo di calcio.

Calcio, mistero senza fine bello
Gianni Brera

Era uno di quelli che si credono superiori perché sostengono che
il calcio consiste in ventidue imbecilli che corrono dietro una palla
Osvaldo Soriano

All’inizio degli anni Settanta il più moderno e il più innovativo quotidiano nazionale era il Giorno, voluto da Enrico Mattei e diretto da Italo Pietra. Un giornale di grandi firme tra cui, per la pagina sportiva, spiccava quella di Gianni Brera; o Gioann Brera fu Carlo, come si firmava nei suoi editoriali calcistici e nella rubrica di corrispondenze con i lettori (l’Arcimatto) tenuta sul settimanale Guerin Sportivo.

Il vero padre nobile del settore, seguito da un codazzo di giovani cortigiani in carriera che affollavano le sue mitiche tavolate pantagrueliche; in cui veniva costruendosi la tipologia popolaresca e la retorica vernacolare del cronista di quei tempi affamati di sport; l’ultima epopea: battutista più che fedele cronista dei fatti, gran mangiatore e bevitore (specie se al seguito del tour de France), popolaresco nelle scelte in materia di intrattenimento; ostentate, in particolare, praticando un gioco di carte d’altri tempi, ancora in uso nella provincia lombardo-veneta: il ciapa no (una variante del tresette).

Il Brera pavese di San Zenone al Po, dominava la scena di allora avendo come unico contraltare il pari grado al Corriere della Sera Gino Palumbo – salernitano di Cava de’ Tirreni – con cui si andava a riproporre la gag scontata e già allora stucchevole della rissa tra terroni e polentoni. Sebbene le cronache narrino episodi in cui i due venivano effettivamente alle mani; magari proprio nel sancta santorum pallonaro della tribuna di San Siro. Una patetica singolar tenzone tra attempati panzoni come ordalia medievale da pupi siciliani.

Confesso che già da ragazzino (e famelico lettore de il Giorno, Giorgio Bocca in particolare) non ero incantato dalla gigioneria breriana. Un giudizio che, in un’uggiosa giornata milanese del 1971, mi venne confermato niente meno che dalla vox populi; fornendomi il punto di vista per mettere a fuoco quanto non mi convinceva in quel monumento della carta stampata.

Studente lavoratore, mi trovavo nei fondi della tipografia che…

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro appiattendosi su posizioni monetariste, la sinistra ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.