Il grande romanzo americano di Stan Lee

Nel centenario dalla nascita, un omaggio all’uomo che aveva sempre sognato di scrivere il grande romanzo americano e finì per creare il grande universo globale dei ”supereroi con superproblemi”.

C’è un autore americano che, secondo certi parametri, dovremmo considerare un fallito. Ha sempre coltivato il sogno di scrivere il “grande romanzo americano” e, in 95 anni su questa Terra, non ha mai visto quel libro sugli scaffali. Il mondo della letteratura l’ha spesso snobbato e isolato, ma in tarda età si è riscattato nel cinema e grazie alle sue idee è diventato il produttore esecutivo di maggior successo di sempre: film basati sulle sue opere hanno incassato oltre 32 miliardi di dollari in totale nel box office mondiale, cifra da Guinness. Non ha mai vinto prestigiosi premi letterari, eppure il suo volto è riconosciuto, ormai, da generazioni di lettori. Il suo nome era Stanley Martin Lieber, ma la stragrande maggioranza lo conosce come Stan Lee, il nom de plume che scelse quando iniziò a lavorare, appena diciassettenne, nel campo dei fumetti.

I suoi genitori, Celia Solomon e Iancu Urn “Jack” Lieber, erano ebrei ashkenaziti: nei primissimi del ’900 avevano lasciato la Romania per l’America, in fuga dai pogrom, dalla povertà e da un clima sociale invivibile. Stanley nacque cento anni fa, il 28 dicembre 1922, a New York: come tanti figli della Grande Depressione si dimostrò presto ambizioso, precoce, intenzionato a vivere il sogno americano fino in fondo. Raccontò che a quindici anni vinse un concorso per saggisti in erba indetto dall’Herald Tribune: così si convinse di diventare uno scrittore. La “rete” della sua comunità lo aiutò presto: lo zio materno lo mise in contatto con il marito di una cugina, tale Martin Goodman. Era un piccolo editore, la cui specialità era inseguire le mode. Quale che fosse il genere o il formato che andava per la maggiore nei newsstands o nei drugstores, Goodman ne produceva imitazioni attraverso uno dei tanti marchi editoriali in suo possesso, solitamente tutti sotto lo stesso tetto…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.