Il Ponte sullo Stretto di Messina non è un progetto ma un emblema

Il Ponte sullo Stretto di Messina risponde a esigenze simboliche e politiche. Se l’obiettivo è migliorare la vita degli abitanti della Sicilia e avvicinare l’isola al resto d’Italia, si può scoprire che realizzare l’Alta Velocità tra Palermo, Catania e Messina e organizzare un servizio di traghetto Ro-Ro avrebbe gli stessi benefici ma con costi molto più bassi e impatti ambientali e sociali pressoché nulli.
Il Ponte sullo Stretto di Messina nella serie Primevideo The Bad guy

Una lunga storia
Forse occorrerebbe rileggere Georg Simmel per capire la fascinazione per il ponte che, tra gli altri, colpisce i politici in deficit di altre idee.

“Nel significato estetico generale, che essi raggiungono attraverso la loro capacità di rendere visibile un qualcosa di metafisico e duraturo, un qualcosa di funzionale sta il loro speciale valore per l’arte figurativa”, scrive il filosofo tedesco nel celebre saggio del 1909 intitolato La porta e il ponte. E viene da pensare che non molto diverso è il valore attribuito dai politici. La spiegazione potrebbe dedursi da quanto diceva qualche pagina prima Simmel: “Il ponte diventa un valore estetico, quando esso porta a compimento l’unione del separato non solo nella effettualità e per la soddisfazione di fini pratici, ma la rende anche immediatamente visibile […] il ponte conferisce ad un ultimo senso, sublime, superiore ad ogni sensibilità, un’apparizione unica, non mediata da alcuna riflessione astratta, che assume in sé il significato dello scopo pratico del ponte e lo porta a forma visibile”.

In una società basata ormai quasi esclusivamente sull’immagine volatile (la foto instagrammata o tweettata la cui permanenza nell’immaginario collettivo è più breve della vita di una farfalla) pensare a qualcosa che rende visibile un sogno, il metafisico e, al tempo stesso, gli dà la concretezza della soluzione ingegneristica che ne suggellerà l’appartenenza honoris causa alla storia è una tentazione irresistibile per molti di loro.

Il ponte come emblema, dunque, nel senso di quegli oggetti che “una volta visti non si possono né dimenticare né confondere” (Calvino, Le città invisibili, p. 22), ma un emblema vecchio, paragonato spesso a interventi-simbolo che risalgono alla fine del XIX sec. o alla prima metà del XX.

Ma il ponte di cui parla Simmel è quel gesto dell’uomo che unisce ciò che la natura ha diviso e, dunque, è il segno del dominio del primo sulla seconda. Il ponte di cui, molto più prosaicamente, ci occupiamo, invece non unisce, ma divide.

Da cinquant’anni divide l’opinione pubblica, gli intellettuali, i tecnici, i politici. E divide, non in quanto ponte, ma in quanto emblema, vessillo sollevato da qualcuno che l’avversario non può che volere abbattere.

Proviamo dunque a uscire alla tradizione nazionale delle tifoserie contrapposte e proviamo anche a non farci incantare dal valore sicuramente emblematico di un ponte lungo oltre 3 chilometri e mezzo, che potrebbe (ma è poi vero?) unire Sicilia e penisola italiana.

Una sommaria ricostruzione delle vicende recenti sull’attraversamento stabile dello Stretto non può che fare riferimento al Progetto 80, il programma economico nazionale 1971-75 che individuava nell’Area Metropolitana dello Stretto di Messina uno dei punti di forza del sistema insediativo del Sud, sebbene ai tempi fosse già stato proposto il primo progetto, nel 1955, da parte della Fiat, a riprova del legame soprattutto con la inarrestabile crescita dell’uso dell’automobile.

L’attuazione del Progetto 80 richiedeva la realizzazione di un elemento stabile di collegamento tra le due sponde che – secondo le previsioni contenute nelle “Linee di coordinamento territoriale” – veniva giustificato proprio dalle “economie di agglomerazione” la cui mancanza “aveva certamente fino ad allora costituito causa dell’evidente sottosviluppo”.

Redatto nel pieno del miracolo economico, (1965) il Progetto 80 attribuiva all’area metropolitana dello stretto di Messina …

La libertà accademica negata dal fanatismo filo-israeliano tedesco. Intervista a Nancy Fraser

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Nuova questione morale: la sinistra e il fantasma di Berlinguer

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